Il negozio – parte prima - Giovanni Sicuranza
Un negozio così sarebbe piaciuto a mia figlia.
Quando il sole incendia il lago, lei penzola giù al molo, le caviglie incrociate, i piedi nudi che sussurrano alle piccole gobbe dell’acqua.
In paese narrano che ha la stessa vestaglia di quando mio marito l’ha investita, una tela bianca con gli scarabocchi del sangue.
Lui andava al lavoro: retromarcia di Suv, le ruote ringhiano sulla ghiaia del vialetto; la mia piccola affonda nella terra, sbriciolata dalla manovra.
Al paese dicono che nei giorni dei morti, mia figlia se ne sta al molo, seduta, guarda l’orizzonte del lago, tace. Svanisce.
Ritorna.
All’inizio provavo ad attenderla, imbrunire dopo imbrunire, e mai l’ho vista.
Sono passati gli anni, il lago è sempre il lago, io ho desistito.
Forse è ancora arrabbiata, perché quella mattina l’ho sgridata, feroce, le ho detto di correre subito a salutare il padre, tutte le bambine educate lo fanno, lei no, lei era una sciagura. E lei, agitata, lo ha fatto.
Forse, invece, in questo paese le raccontano grosse e crudeli ad una donna abbandonata, che dovrà sempre sentirsi in colpa.
Anche mio marito, indagato per omicidio colposo, prosciolto, è come il fantasma narrato di mia figlia; evanescente, mutacico; non mi parla più, mai più.
Ha comprato il castello della collina, ha comprato quasi tutto il paese, ostenta il successo cambiando donna con le stagioni, come farebbe con il guardaroba. Anche questo sento dire, che le umilia, le usa per i piaceri del sesso, le consuma. Ma non ho mai sentito di una che si lamenta. Sono tutte donne straniere, dell’Est, credo, qualcuna, dopo, torna alle proprie terre, forse arricchita da lui, nessuno lo sa.
Vengono e svaniscono. Anche loro sono fantasmi.
Di concreto mi è rimasto il negozio.
Sarebbe piaciuto a mia figlia per i colori all’esterno, vivaci, allegri.
La porta, le finestre, la tenda, sono come un dipinto naïf.
Dalla veranda di casa li vedo tutti insieme, mescolati un vortice di densità splendente, proprio in fondo, come alla fine della prospettiva di un dipinto.
Li vedo e penso che mia figlia si sarebbe fermata sull’uscio, incantata a guardarlo, e io con lei, appena dietro, le mani sulle sue fragili spalle, protettiva, e suo padre avrebbe avuto modo di fare ogni manovra con il Suv.
Non so cosa vendono in quel negozio, non importa, non ho più bisogno di cose.
Mi lascio morire, mi trascino appena in questa tomba arredata, l’aria viziata da memorie.
E’ come essere immobile dentro una tela grigia, che ha cessato i colori, dopo averli incontrati, tutti, per riempire un negozio, laggiù.
Al termine della prospettiva.
(immagine: "Fantasy City" dal sito https://www.arredodesignonline.com/en/quadro-fantasy-city.html)
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