Passa ai contenuti principali

Invito alla festa



Sotto la terra qualcosa campaGiovanni Sicuranza






...

La porta che si apre.

La penombra oltrepassa la soglia, si ferma un istante, fa un altro passo, si arresta.

Entra pure, ragazza; una voce tra le sagome intorno al tavolo in fondo alla sala, un sibilo tra le umidità dei respiri; non esitare, questa è anche dimora tua.

Come no, deglutisce Loredana, e ancora non riesce a lasciare sull’uscio tutte le indecisioni.

Solo pochi sospiri prima non sapeva se sarebbe stato un bene mostrarsi alla Locanda del Tumulo o lasciare alla taverna l'esclusiva di narrare il matrimonio del secolo.

A dare retta a suo padre, sì, bisognava andare, nessuno l’avrebbe derisa.

Ah, mai potrebbero fare una cosa del genere, figlia, e non preoccuparti più di Leopoldo, credimi, è amico mio da così tanto tempo che ogni lapide conosce i nostri segreti.

Le lapidi, padre?, un richiamo insolito per descrivere un'amicizia.

Vai, parla con Leopoldo e capirai.

Già, Leopoldo che le aveva promesso amore eterno, che prima le ha seminato nel ventre i suoi maschi cromosomi e poi l’ha costretta a smarrire il feto nel pozzo della strega; proprio questo Lorenzo, che se ne sta alla taverna, centro d’attenzione degli uomini, giovani e anziani, lui che si vanta di avere sedotto la nuova Signora della Fossa, e lo fa a pochi giorni dal matrimonio con un’altra femmina.

Leopoldo il Magnifico. Leopoldo con tutto il suo corpo da traditore.

Bentrovata, ragazza, dice la voce che la ha accolta all'ingresso e le altre, tutte, si alzano in un brindisi alla strega.

Cosa possiamo offrire a Nostra Signora della Fossa? A parte il nostro sangue, certo.

Loredana si avvicina, il buio scivola dai volti del gruppo.

Riconosce Alfiero, il becchino mai morto e, seduto accanto a lui, la donna prossima miscela dei geni di Leopoldo.

Dunque sei tu, la nuova Signora della Fossa, la strega della morte. Ah, una tipina per bene come te, casa e chiesa, chi l’avrebbe detto, ma pensa che degrado.

Loredana tace.

Sei morta, strega, lo sai.

Basta, Eleonora, lasciala stare tra noi, dovresti portare rispetto per chi ha giaciuto con me.

Dunque ci sei, Leopoldo; Loredana stringe i denti tra le ombre, passa il respiro attraverso il corpo della femmina promessa, lascia gli occhi in quelli dell’uomo che l’ha marchiata, di quest’uomo che oggi sorride.

Ah, Leopoldo, ora sono carne marcia, ricorda, la stessa carne che hai desiderato.

Silenzio, fate silenzio, tutti!

Alfiero barcolla, si appoggia a una spalla di Eleonora, che è come una lapide, immobile e silenziosa, i capelli giallo grano ad offuscarle gli occhi, tenta di alzarsi e non molla la presa nemmeno quando è in piedi.

Loredana, conosciamo il dolore che ti vive dentro, è lo stesso dolore che ci ha fatto accettare la tua trasformazione in strega, ma questo è un giorno di festa; un sospiro; e sai come succede.

Succede che gli uomini non parlano più e forse c’è qualcuno che vorrebbe già cacciarla fuori dalla Locanda del Tumulo, perché lei è la strega che lascia deserto ai raccolti e la morte alla vita, ma Alfiero è il depositario della tradizione, è quello che cura i morti di Lavrange. 
A lui è data la parola ultima.

Nemmeno Leopoldo riprende fiato.

Siediti e rimani con voi, se credi, ma non pensare che ti permetta di avvelenare il vino per Eleonora e Leopoldo; loro sono i nostri giovani sposi. Sono la tradizione che si rinnova. 

Gli occhi di Loredana si muovono, cercano quelli di Leopoldo, si aggrappano, forzano, entrano.

Hai compreso il mio monito, strega? Non maledirci, oggi. Ci sono già troppi morti che narrano di te.

Non ero sempre io, becchino, altre sono venute con il mio stesso nome.

Certo, una bella genia di streghe, prima tua madre e prima ancora, prima ancora come si chiamava?

No, taci anche tu, Eleonora, diventare la sposa di Leopoldo non ti da alcun diritto su questo raduno di maschi. Nostra Signora della Fossa trasmigra da una donna maledetta all’altra, lo sappiamo tutti, ma per Lavrange è sempre lei, è sempre la stessa strega della morte e della rinascita.

C’è qualcuno che riesce a fare sì con la testa, appena, come colto da uno scatto di sonno, e subito dopo torna su, a guardare Alfiero e la strega e ancora Alfiero.

Leopoldo darà una grande festa, strega, e tu non potrai partecipare.

Lo so, vecchio.

Lo sai, strega.

Però verrà mio padre.

Ah; il corpo di Alfiero cede, perde la presa sulla spalla di Eleonora, si accascia nell’oscurità della panca e così giace, mentre la sposa promessa balza in piedi veloce, assoluta, come un risucchio che dal soffitto della taverna esplode a bruciare l’ossigeno.

Vattene, puttana di sventure!

Loredana arretra di un passo, un altro ancora, e le sembra nulla, le pareti che si fanno anguste sull'ira di Eleonora.

Abbiamo deciso, da oggi moriamo senza il tuo aiuto, strega. Moriremo proprio nel giorno del nostro matrimonio, tutti. E tu rimarrai senza scopo. Nuda.

Perché?; un altro passo indietro, il pavimento umido, inconsistente; Perché mi private della vostra carne?

Guardate, Nostra Signora della Fossa, la strega di Lavrange, poverina, guardate come trema, ancora poco e cade a terra.

È Eleonora che inizia, ma la risata si propaga rapida come tutte le epidemie che hanno inaridito il paese, così contagiosa che nessuno, non nella taverna, forse nemmeno in tutto il mondo, riesce a trattenersi.

Loredana china la testa, alza le braccia davanti al viso, ma è pesante questo riderle addosso, una frana così imprevedibile e compatta, che potrebbe anche uccidere una strega.

E’ disorientata, disfatta, invoca un riparo tra i confini del buio, poi, tra le fessure aperte delle dita, lo vede.

Lui, proprio lui, è l’unico; ha l’espressione assorta, la guarda, non ride, non sorride, gli occhi accolgono ancora quelli di lei. 
Sono il buio che nulla dice.   

Le labbra, invece, si muovono, piano, spezzano le ondate della risata, scrivono nell’aria.

Loredana non le perde.

Vai.

Via.

Adesso.

Sì, dice lei, le schiena curva, sudata, sì.

Verrà tuo padre, lo hai detto.

Loredana annuisce, chiude gli occhi, gira il corpo, crede di correre verso l’uscita e non le importa se la troverà o se finirà tra gli uomini di Lavrange, non adesso.

Ha solo bisogno di respirare, di trovare un rifugio. Ha urgenza di suo padre.

E’ stata violata. Dopo secoli di superstizioni, di sussurri e pianti per la strega, oggi lei è un nome svuotato di paure.

Suo padre, invece, è l’uomo chiamato ad uccidere.

Tutti gli invitati al matrimonio.

E poi la sposa. E lui, Leopoldo lo sposo.  

La festa all’Albergo dei Tre Atti sarà la festa della morte del paese.

Adesso comprende quanto suo padre aveva ragione a spingerla fino alla taverna; ignora come lui sia arrivato a un accordo fatale con Leopoldo, non capisce come diventerà il desiderio della morte.

Saperlo non importa, non cambierebbe l’intensità di questo momento.    

Ora deve trovare la forza per un’ultima corsa, magari prima provare a sorridere, come ha sempre fatto Nostra Signora della Fossa da quando ha inventato la morte a Lavrange.

E’ solo un istante e già sente che l’aria riprende la forma delle cose esterne.

L’umidità nei pori delle cellule, l’odore del vento prima di affogare nella fossa di Lavrange, le canzoni degli uccelli che nidificano sugli alberi del cimitero.

Non apre gli occhi, non ancora, sono pieni di sudore, brucerebbero.

Inspira i ricordi, espira l’odio, arde il respiro.

Le risate sono rimaste alle sue spalle, nessun rumore è uscito con lei dalla taverna.

La schiena appiccicata alle travi della porta, pelle di strega su legno di bosco, Loredana inspira, espira, riprende la forma di un sorriso, ritrova la sensazione del corpo e si concede il lampo di un ricordo.

C'era un tempo in cui ancora viveva e si chiamava donna. 
In quel tempo di passioni accadde a Loredana di abbandonare un uomo. Che era un uomo tanto pieno di amore. E tanto pieno di morte.    

… segue


CONTINUA QUI:







Invito alla lettura integrale, come da percorso ai link indicati.

Prossima pubblicazione, diritti tutelati (raccomandata A.R.  e mail pec con data e firma certe; sistema anti-plagio NetEditor, etc.)

grazie, 
Giovanni Sicuranza

(immagine: un dipinto dal mondo surreale di Edward Hopper)







  

   

          

Commenti

Post popolari in questo blog

Esempio di Relazione medico legale. La Valutazione Multidimensionale dell'Anziano

Tolti i riferimenti nel rispetto della riservatezza (vi piace di più "privacy"?), riporto una mia Relazione scritta in risposta al parere negativo del Consulente Medico d'Ufficio, incaricato da un Giudice del Tribunale del Lavoro di rispondere sulla sussistenza dei requisiti per l'indennità di accompagnamento. Non cominciate a sbadigliare, non è troppo tecnica, forse persino utile per comprendere anche aspetti di interesse sulle autonomia della personza anziana (e non solo). Dott. Giovanni Sicuranza Medico Chirurgo Specialista in Medicina Legale cell.: 338-….. e-mail: giovanni_sicuranza@.... Controdeduzioni medico-legali a Relazione di Consulenza Tecnica d’Ufficio del Professore Libro de’ Libris Causa: Itala NEGATA / INPS RGL n. … Premessa. Nella Relazione Medico Legale di Consulenza Tecnica d’Ufficio, redatta il 15.08.2009 in merito alla causa in epigrafe, il professore Libro de’ Libris, incaricato come CTU dal Giudice del Tribunale

Afasia e disabilità. Tra clinica, riabilitazione, medicina legale.

Premessa. 1. La patologia. Il linguaggio è una capacità esclusiva della specie umana e circa 6000 sono le lingue attualmente parlate in ogni parte del mondo. Espressione del pensiero, il linguaggio è il più complesso sistema di comunicazione che assolve alla funzione della regolazione sociale ed alla elaborazione interna delle conoscenze. Tra i disturbi del linguaggio, le afasie abbracciano una molteplicità di tipologie strettamente collegate ai vari livelli di competenza linguistica compromessi (fonetico, fonemico, semantico, lessicale, sintattico e pragmatico). Gli studi sull’afasia iniziano più di un secolo fa quando l’antropologo francese Pierre Paul Broca (1824-1880) utilizza il metodo anatomo-clinico per descrivere, da un lato, le caratteristiche del disturbo del comportamento e, dall’altro, le peculiarità della patologia che ha danneggiato il sistema nervoso di un suo paziente, passato alla cronaca con il nome di “Tan”, unico suono che riusciva a pronunciare, affetto da afasi

In limine vitae

In limine vitae - Giovanni Sicuranza Sa, Alfonso Vasari, Professore della Cattedra di Medicina Legale di Lavrange, che è terminato il tempo dell'ultima autopsia. Tra le dita bianco lattice, tra polpastrelli con ovali di sangue rubino, nei fruscii di tessuti sfiniti, stringe il muscolo più bello e nobile del suo cadavere. Il cuore della donna è sano, anche dopo la fine, nonostante si stia già trasformando in altro. Tre i bambini, tre le giovani donne, uno l'uomo anziano; sette le vite passate alla morte per gravi politraumatismi da investimento pedonale. Tutte avevano un cuore che avrebbe respirato ancora a lungo.  E' delicato, Vasari, mentre lascia andare il muscolo della ragazza nel piatto della bilancia, nero di memorie, di sangue e di organi. 260 chilogrammi, legge sul display verde, e spunta una voce tra gli appunti. Solo un fremito di esitazione, poi con la biro, segna qualcosa, veloce, sussulti blu notte sulla pagina grigia, che potrebbero essere ortogra