Come il vento - dal romanzo “Sotto
la terra qualcosa campa”
di Giovanni Sicuranza
Come
si apre il vento quando passa Nostra Signora della Fossa, un capoverso di erba
alla sua destra, un altro alla sua sinistra, in mezzo la trama della morte.
Ciao
amore.
Se conosci
le dita di una piuma che scende cauta sulla pelle della schiena, allora puoi
sentire anche la voce della strega. Lei saluta così ogni bambino morto, lo fa
lenta e piano e fragile su ogni corpicino prima di portarlo alla terra.
Chissà
quando smetteranno di morire.
Non
solleva la testa, non innalza nemmeno la schiena, è un saio nero chiuso a
proteggere il corpo del cucciolo.
Non
mi rispondi, strega?
Mmmmmmm,
geme Nostra Signora della Fossa.
D’accordo.
Alfiero si muove dalle spalle al fianco di lei, flette le ginocchia, serra le
labbra per reprimere il dolore, lascia che lo scricchiolio delle articolazioni
sia il suo tormento, siede sull’erba.
Mmmmmmm,
fa Nostra Signora della Fossa.
Tu
ti lamenti, le mie ossa si lamentano, siamo una bella coppia, dai.
Silenzio.
Scommetto
che stai reprimendo una risata.
Silenzio.
E’
che non vuoi darmi soddisfazione.
Mmmmmmmm.
Sì,
va bene, ti lascio seppellire il bambino. So stare zitto, cosa credi. Anzi, non
parlo così tanto a una donna da secoli. Sai, una volta mi piaceva attirare la
vostra attenzione, sono bravo con le parole, io, sarà perché ho a che fare con
i morti, ma, insomma, adesso quale maschio si azzarderebbe solo a chiedervi se
volete sedere al nostro posto in autobus? Rischierebbe una denuncia per
molestie, credo.
Nostra
Signora della Fossa si blocca.
Hai
detto che sai stare zitto.
La
terra piove tra le dita a formare rivoli neri sul verde addome del bambino.
E
poi cosa ne sai di molestie, tu, che avevi novant’anni quando sono nata.
Cosa
c’entra l’età, femmina. Anche tu sei morta prima di diventare la strega di
Lavrange.
Lei
si volta appena, un sorriso spento che si appoggia sugli occhi di lui.
Il
bambino è morto con il mio incanto.
Ah.
Ascario si sporge appena, ignora le articolazioni che urlano, cerca di
osservare meglio il corpicino, in realtà vorrebbe staccarsi dalle labbra della
strega.
Non dovresti,
però, no, non dovresti torturarli.
Silenzio.
Le
braccia del bambino sono distese con il palmo verso il cielo, le dita indicano
Ascario. Tutte.
Meglio
la loro allucinazione di morte che la consapevolezza di essere mangiati dal
virus.
Non
vestire il tuo gioco da pietà, strega. Dimentichi chi sono.
Nostra
Signora della Fossa allarga il sorriso, lo distende fino a toccare il cuore
dell’uomo. Ascario, mio antico custode del cimitero, credi di sapere tutto dell’agonia?
E tu
credi di dare sollievo a questi bambini con il tuo inganno? Credi che la morte
sia per loro più serena se immaginano di essere uccisi da un uomo malvagio?
Le
mani della strega si aprono, tumuli di terra umida e vermi bianchi crollano sul
putrido viso del cucciolo.
Un
uomo malvagio, un virus, ahi, vecchio sapiens; un singhiozzo, profondo, forse
un rantolo, Ascario non comprende la sofferenza che esce dalla gola della
donna; Ascario mio, il virus non si vede, ti mangia da dentro e non lo
comprendi; se lascio credere a questi bambini che li ha uccisi un adulto della
loro specie non mi sto divertendo, li sto rassicurando.
Il
bambino giace supino sulla terra di Lavrange e accanto a lui si gonfiano decine
di tumuli scuri.
Mostrami
quello che ha visto questo piccolo.
Il bambino
giace con occhi grandi di palude e di morte.
Vuoi
davvero, Ascario?
Strega,
pausa
io
sono il custode del cimitero e della tua casa. A volte mi occupo dei viandanti,
indico loro la tua dimora, mostro loro dove troveranno i loro ultimi respiri,
lo faccio per il nutrimento dei tuoi fiori.
Lo
so, tesoro.
Però,
credimi, dopo secoli ti ascolto e ancora non comprendo la narrazione di tutto
questo morire. Per cui, sì, mostrami cosa ha visto il bambino. Ti prego.
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[immagine:
“La morte di Giacinto”, Jean Broc; 1801]
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