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Al cimitero




Al cimitero (dal romanzo “Sotto la terra qualcosa campa”)
(continua da: "La notte va in battaglia": http://sicuranza.blogspot.it/2016/06/la-notte-va-in-battaglia.html;

Giovanni Sicuranza






Vicino all’albergo c’è il cimitero.


L’albergo e il cimitero si pronunciano insieme, sempre.


A Lavrange ci sono i vivi, pochi, e i morti, tanti, e tocca a quest’ultimi vegliare sugli stranieri, su quei viandanti occasionali che non si curano di superstizioni e di odori di pestilenza pur di riposare in una dimora a basso prezzo.


L’albergo è stato ristrutturato da poco, dalle mura perimetrali a quelle portanti, da quelli a faccia a vista a quelli intonacati; esumazioni di tufo, distese e colonne di tufo, erette dove prima c’era l’Ospedale dei Morenti.


Una volta si veniva qui a lasciare il mondo, oggi si viene a dormire, cambiano solo l’intensità e la durata dello smarrimento dello stato di veglia.


Dall’albergo c’è solo una passeggiata. 
Attraverso gli alberi di betulla e gli arbusti di abutilon, con i fiori a campana che ricordano stelle gialle, un percorso di ghiaia sottile, ombreggiato e discreto, giunge al cimitero, rapido si ferma. 
Null'altro rimane a rassicurare i passi. 
Un tumulo recintato ancora da tufo, su cui giacciono campane di abutilon, qui rosso sangue, cela la fossa dei senza nome. 
Ossa piccine e fragili e ossa grandi e fragili, frammenti di morte anonima, ondate di stragi lungo epidemie di peste e influenza, e l’ultima, questa dei non vaccinati, che ha lasciato decine di cuccioli in età da gioco al pianto degli adulti.


Scommetto che non si trova tufo in tutta la zona, Leopoldo lo ha usato per l’albergo e poi ha gettato gli avanzi al cimitero.
Eleonora che parla e riprende a fumare e adesso inspira a fondo. 
Dopo la notte trascorsa a gemere con i miei gemiti, a cantare con le carezze di Marilyn, è sempre con una sigaretta che interrompe il nostro gioco.


Quando ci siamo messi insieme, qualche epidemia addietro, le ho confessato che la adoravo perché è un copia e incolla della divina Marilyn Monroe.


Lei aveva taciuto.


Non mi aveva guardato.


Ricordo come si erano allungate le sue dita sulla sigaretta.


Il modo in cui le aveva fatte scivolare lungo lo stelo, un sogno di su e giù, piano, su e giù, lento; io che deglutivo.  


Bene, aveva sussurrato sopra i miei rantoli, da oggi adorerai Marilyn perché ti ricorda me.  


Continuiamo in questa finzione da tanti anni, e a volte ci crediamo davvero, lei che diventa Marilyn tornata dalla terra, e nulla cambia nemmeno oggi, a poche ore dal suo matrimonio con Leopoldo.
L’amico Leopoldo che ha spinto mia figlia a trasformarsi nella strega del paese.  


Ce ne stiamo in piedi, la pioggia calata in un sussurro, appoggiati al cofano dell’auto, noi tre, 
lei, 
la sigaretta, 
io, 
a un respiro di distanza dal cimitero.


Alle nostre spalle, una risata, acuta, breve.


Non è quella matta di tua figlia, spero.


Lei, la pioggia, la sigaretta, io.


No, ascolta bene. Sarà un picchio.


Ah, però la strega passa la notte sulla collina.


Non lo so. Cioè, a volte sì.


Nostra Signora della Fossa qualche volta si addormenta nella voragine in cima alla collina, accanto al vecchio cimitero. Capita in quelle notti che qualcuno, pure esperto dei luoghi, si smarrisce e non conosce ritorno.


Sì, Eleonora, è la nostra leggenda. Però mia figlia dorme anche a casa.


La casa dei massacri, sto per aggiungere, solo per precedere la necessità di ribadire l’ovvio di questa donna; qui tutti sappiamo che la strega vive in una casa abbandonata; il suo nome sulla cartina stradale, nella versione del secolo scorso, è “Villa”, scritto in grassetto su un puntino nero alla periferia del paese. 
"Villa" è un ornamento di piante e fiori, belli, vivaci, sani, nutriti da centinaia di cadaveri sepolti in giardino. 
Noi narriamo che sono il letto della strega; la storia ufficiale, che elenca le centinaia di vittime dei nazionalsocialisti abbandonate nella Villa, la lasciamo a chi studia.     


Eleonora però non replica, sbuffa, orpelli grigio nicotina nel blu cielo, denso come un oceano in battaglia con il vento.    


Leopoldo non doveva costruire l’albergo con il tufo crollato dalla collina, dice.


Il profilo arcuato del suo piccolo naso è come una schiena che mostra le natiche, e tutta questa esondazione delle sua labbra rosse, ah, ora le osservo, un po’ stupito, e nel suo viso ogni particolare mi sembra bello per accogliere la pioggia.


Perché?, dice. Ha preso i frammenti dalla voragine della strega, dall’antro del suo vulcano estinto. Non doveva farlo.


Beh; sorrido, impreparato al suo cambio di umore; il tufo è economico, facile da lavorare, ha un’ottima resistenza e una coibenza termica e. 
Deglutisco, ancora.


Eleonora?


No, non è la pioggia a scendere dai suoi occhi.


L’Albergo dei Tre Atti era il suo progetto, lo ha detto quando è tornato a Lavrange, lo ha fatto. Non doveva.


Annuisco e mi allontano con lo sguardo, solo per proteggermi dal suo smarrimento. Oltre il cimitero, svelato dalla betulla, si apre uno scorcio di tetto.


Lo ha chiamato l’Albergo dei Tre Atti, come uno spettacolo di teatro.


E’ un omaggio al nostro  vivere, Eleonora. La nascita, la crescita. La morte.


Anche tu sei bravo a fingere.


Ah, vorrei dirle, guarda che hai appena recitato Marilyn zombie.


Ma non ho voglia di discussioni; inizio a sentire un peso tra il respiro, un’angoscia di ritrovare mia figlia, a costo di portarla di forza nella Villa, tra i morti, piuttosto che saperla vagare lungo i ricordi del dolore, tra i resti delle epidemie del nostro paese.


Non vuoi più morire?, le dico invece, e ancora guardo oltre, sfioro il tetto dell’albergo, salgo sulla corsa delle nuvole buie; il tuo matrimonio è un evento speciale, anzi; sospiro; il tuo matrimonio è unico; aggiungo tra i denti; l’apoteosi del progetto evolutivo della nostra società e allo stesso tempo la morte degli sposi.  


Tu mi odi, vero? Ho lasciato la nostra storia, sono la prescelta di Leopoldo al posto di tua figlia; insomma, voglio dire, quando ci ucciderai tutti, me, mio marito, gli invitati, tutti, proverai ancora un sentimento per me, vero?  E' questo che temo alla fine, sai. Morire nel mito di una strega. Morire senza passione. 

Non rispondo.


Alle nostre spalle giunge un'altra risata e spezza il mondo.  



    



   

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