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Visualizzazione dei post da maggio, 2016

Donna mia

Donna mia – Giovanni Sicuranza Lord Friedrich Leighton, The painter’s Honeymoon , 1864 A volte, quando il sole si sbriciola nel buio, io dimentico il suo nome. Lei era la mia prima donna, l ’ho conosciuta non so quanti anni prima di questo imbrunire. Ecco, ora che ci penso ho lasciato indietro anche il suo viso.  E l'unica cosa che ricordo è come rideva.  Rideva come un cucciolo, insomma, non c’era traccia di raziocinio nel suo ridere e questo era lo splendido, tanto da avere la forza di una memoria eterna. Lei è stata la prima che mi ha fatto pensare alla vecchiaia.  L'amore è anche questo, no?, quando la guardi e pensi che sarete vecchi insieme e, anche se sei appena un ragazzo, all’improvviso invecchiare diventa una previsione concreta e bella. La mia donna è morta durante questi sogni,  è morta che rideva. Eravamo in un locale ormai chiuso, a pranzo con amici, qualcuno le ha detto una frase idiota e lei ha iniziato a ridere, con tutta la

Inchini

Buonasera. Chi segue i miei paesaggi avrà notato che raramente condivido in questa pagina le opere mie pubblicate e ancora meno le antologie in cui i miei racconti sono stati editi (a fianco di autori di spessore, es ."La legge dei figli', Meridiano Zero Editore, "365 racconti erotici per un anno', Delos Book, etc.) Forse tendo all'abbandono prematuro dei personaggi, spesso li considero imperfetti, guardo oltre, forse alla fine è solo scarsa autostima narrativa. Insomma, nulla di nuovo nel coming out narrativo. Certo è che con questa pagina sono in persistente esposizione  e certo è che la mia produzione - come quella di altri autori che si proiettano nel web - potrebbe essere meritevole di considerazioni di blogger, di editori vari ed eventuali. A proposito, alla vostra e alla loro attenzione qui e prossimamente riproporrò anteprime di mie opere pubblicate e in cerca di editoria. Tutto questo preambolo, oggi, è perché mi stupisco davvero quando sco

Sesta prospettiva - in folle

Sesta prospettiva - in folle - dal romanzo " Nessun caso per il commissario Massimo Riserbo " - Giovanni Sicuranza Se la mano fosse come questa trama, non tremerebbe tanto mentre legge il rapporto sul suicidio dell'uomo. Però Massimo Riserbo ha riconosciuto subito la vittima nel bianco e nero sgranato, in questo volto lungo da cavallo bastardo. Devi stare calmo, si scrive proprio così, c-a-l-m-o, rileggi la parola, è un aggettivo qualificativo, e tu, Massimo Riserbo, ricorda che il nostro romanzo necessita della qualificazione del tuo protagonismo. Quest'uomo è morto carbonizzato nel rogo del suo appartamento,  e sappiamo che faceva il liutaio,  e sappiamo che era sospettato della morte della moglie,  forse dei figli. La mano suda sulle parole del rapporto. Aspetta, quest'uomo ha frequentato mia figlia per anni, ah, poteva fare lo stesso anche a lei. Il commissario del noir balza dal letto e con lui si sveglia anche l'alba del Sahel, un sussu

Chiave di violino

Chiave di violino - Giovanni Sicuranza Ero in veranda, imprecavo.  Un pugno a fendere l'aria, scosso verso il cielo, e f orse ho esagerato, perché piove da tre giorni.  Il vicino, invece, niente.  Non smette di suonare il violino.  Il soffitto si apre come terra riarsa, le fenditure si allargano, si allungano, si intersecano e scrivono parole di altri mondi.  Tra poco mi crollerà tutto addosso, tetto, vicino, pioggia.  E i fantasmi.  Sono loro che scrivono sopra la mia testa, è chiaro, altrimenti perché non riesco a decifrare i segni delle crepe? Esco in veranda, un fulmine frusta il faggio di fronte, il fuoco e la pioggia diventano un dipinto furioso.  Entro di corsa, mi accuccio tra il letto e la pila di riviste sulle città aliene, e tra tutta la cacofonia di tuoni, fiamme, pioggia, in questa miscela di caos, il violino suona a nota alta.  Il suo lamento è come la voce dei fantasmi. Non ci sono altri strumenti che riescono a riprodurla così realisti

A Love Supreme

A Love Supreme – Giovanni Sicuranza Loredana mi lascia. Lo fa seduta alla fermata dell’autobus, con i jeans che coprono i graffiti pornografici e i numeri di telefono della panchina, con le gambe incrociate, le punte dei piedi che appena sfiorano mozziconi di sigaretta e ferite d’asfalto, che ciondolano come oscilloscopi lenti, avanti, a destra, a sinistra, indietro e a sinistra, così, e intanto dice che mi lascia, il tono della voce che supera appena i decibel del mio cuore impazzito. Come dici, scusa?, biascico per allungare la speranza di una via di uscita. Siamo avvolti dalla pensilina rossa della fermata, una semisfera che spunta alle sue spalle e si interrompe appena qualche centimetro sopra le nostre teste distanti. E’ il palmo di una mano pronta a chiudersi. Una mano senza dita. Dai, dice lei, e si porta il pollice in bocca. La pensilina è rossa, vermiglia, lucente, e una mano a cui amputi le dita avrebbe proprio il suo colore.