La nostra narrativa – Giovanni Sicuranza
(prosegue dal precedente "Il mio romanzo")
L’uomo afflitto si accinge a varcare la porta della dimora antica e solo quando passa accanto al pendolo dell’ingresso innalza gli occhi.
Quali iridi fragili, le sue, incapaci di raggiungere il quadrante delle lancette.
Accade per la prima volta che l’uomo afflitto esce di casa e, mesto, non sa narrare che ore sono.
Forse dovrebbe chiamare l’ospedale, o i vigili, ma nemmeno questo sa; mai la sua donna lo ha lasciato uscire così indifferente dal loro letto.
Quali iridi fragili, le sue, incapaci di raggiungere il quadrante delle lancette.
Accade per la prima volta che l’uomo afflitto esce di casa e, mesto, non sa narrare che ore sono.
Forse dovrebbe chiamare l’ospedale, o i vigili, ma nemmeno questo sa; mai la sua donna lo ha lasciato uscire così indifferente dal loro letto.
Così fredda.
E tanto morta.
Morta porta corta,
vorrebbe liberarsi, ma i pensieri sono ingabbiati nella litania di queste parole,
morta porta corta
Forse la chiude, la porta, forse no, troppo corta è una vita per ricordare ogni gesto.
Si versa sul marciapiede, attraversa la strada,
oppure è la strada che attraversa lui, chissà,
la vita mica è questa che abbiamo adesso, qui ed ora, è sempre attesa di qualcosa che deve arrivare, è sempre angoscia per qualcosa che è già stato.
Un bambino che piange, una macchina che frena lunga, e una donna che urla, sono solo suoni che scivolano lungo il suo corpo, nemmeno penetrano oltre la giacca.
Forse ne parleranno questa sera al telegiornale, forse ci sarà un “R.I.P.” su internet, ma non adesso, non in questo luogo.
La vita non è questa che viviamo, si ripete, è quella che apprendiamo dopo, anche solo un attimo dopo, è così che funziona la narrazione.
Suona ad un citofono bianco, lo riconosce per abitudine anche se non ha mai avuto un nome, sale fino alla mansarda, tutte le rampe a piedi, afflitti e mesti, e non saluta la prostituta che gli apre l’uscio, ogni uscio.
Dieci minuti dopo è di nuovo in strada, la prostituta è rimasta vestita, ha duecento euro in più e una storia di lutto da narrare ai prossimi clienti.
L’uomo invece ha raccontato la sua vita e quella degli altri solo alla moglie e, ora lei che giace sorda e morta, non sa a chi rivolgersi.
Certo, narrerà ad altri di lei, lo farà fino all’ultimo respiro, e lei diventerà la protagonista di tutti i giorni da scrivere.
Però lui ha perso la vera lettrice delle sue giornate.
È con questo pensiero che si blocca, estende il collo alla nebbia sopra la gente, vede per la prima volta il cartello.
"Benvenuto a Lavrange", dice in nero, grassetto, maiuscolo, centrato su uno sfondo grigio.
"Qui, sotto la terra, qualcosa campa", dice ancora.
Carattere gotico moderno.
Ma che bel titolo, sorride l'uomo.
"Benvenuto a Lavrange", dice in nero, grassetto, maiuscolo, centrato su uno sfondo grigio.
"Qui, sotto la terra, qualcosa campa", dice ancora.
Carattere gotico moderno.
Ma che bel titolo, sorride l'uomo.
E fa un passo dentro le storie di Giovanni Sicuranza.
[dal romanzo "Sotto la terra qualcosa campa"@Giovanni Sicuranza; 2013-2016]
Commenti