Ricorda l'inverno
Una volta, in un tempo chiamato inverno, la montagna scese a valle.
Era gonfia di piogge e di tombe e corse a lungo con il gorgogliare profondo dello stomaco di un gigante. Portò con sé nuvole e alberi e animali, si prese persino le antiche nebbie che accoglievano gli ultimi respiri degli anziani e le spinse giù, veloce, feroce, una transumanza sovrana che non volle lasciarsi dietro nulla.
Quando giunse in pianura, e decise di fermarsi, il paese di Lavrange non esisteva più.
Eppure sotto la sua terra qualcosa ancora campava.
C'era l'acqua del fiume sommerso a cercare rivoli di sopravvivenza, c'erano le radici delle piante spezzate a emigrare verso l'acqua tenace, e c'erano i corpi dei morti accanto agli scheletri esiliati dal vecchio cimitero.
I giovani tra gli anziani, i figli stretti agli avi, tutti uniti dentro il ricordo della montagna, senza più distinzione tra presente e passato, tra odio ed amore, tra memoria e speranza.
A poco a poco ogni uomo e ogni donna mutò nella carne e nel sangue. Lo fecero tutti allo stesso modo, lentamente, fino a quando dal mondo scomparve anche l'ultimo inverno.
A quel tempo gli abitanti di Lavrange erano già diventati simili; non c'erano più famiglie, né gruppi religiosi e politici, nemmeno più il circolo del bridge e quello della pagina Facebook "Sei di Lavrange se".
Solo ossa.
Solo ossa.
Dritte e ricurve, grandi e piccole, gialle e grigie, comunque ossa, frastagliate distese di ossa, tanto che nessuno di loro sarebbe più stato in grado di riconoscersi dall'altro.
da "Sotto la terra qualcosa campa"@2012-2016 - Giovanni Sicuranza
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