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Tempo di speranza


Tempo di speranza - Giovanni Sicuranza

C'era un tempo in cui le nuvole grigie erano i bombardieri che giungevano compatti come cavalleria dell'Apocalisse e Don Lario ci diceva di scendere giù nelle cantine, a ripararci, anche se ogni  cantina cantava inferni di fuoco e dannazione.
In quel tempo la morte parlava a noi tutti. 
Ci camminava a fianco, ci dava la mano, a volte capitava che ci sfiorava senza prenderci e allora le rendevamo grazie. 
La sua continua presenza ci faceva sperare ancora nel cielo dei giorni belli, perché solo accanto alla morte apprezzi ogni lembo di vita.
Poi ci fu la sera in cui gli uomini del villaggio trascinarono i corpi di due nemici precipitati dalle grandi altezze, e quando li vide sanguinare tua nonna disse rosso di sera bel tempo si spera. 
Noi bambini iniziammo a giocare con loro, dentro loro. 
Aprivamo un po' di più le ferite e vinceva chi riusciva ad estrarre i pezzi di carne più grandi, e i nostri gattini, quelli risparmiati ancora al minestrone di brodo e patate, venivano a leccarci le dita che gocciolavano sangue come fossero tettarelle di mamma.
Anche i corpi dei nemici dicevano "mamma, mamma", e piangevano, ma tanto erano i cattivi, quindi non è che le loro mamme potevano essere belle e buone come le nostre. 
Io ricordo gli occhi celesti di uno di loro, due nuvole spalancate di laghi a primavera, li ricordo perché decisi di prenderli e tenerli con me. 
Ecco dove i nemici nascondono il cielo. 
Lo dissi ai miei fratelli e loro dissero sì e tutto il villaggio vide gli occhi e Don Lario arrivò di corsa, le braccia alzate, e mi impose di dargli le sfere celesti. 
Tutte e due, precisò, grande e nero sopra di me. 
Mamma mi guardava severa, papà se ne stava in disparte, dentro la porcilaia, e piangeva, piangeva da sette mesi, e mamma diceva che era impazzito proprio per colpa di questi nemici cattivi e violenti, mica per tutti i cadaveri che avevamo mangiato alla mensa. 
Io corsi da lui, ci provai almeno, però il prete mi prese i capelli e mi diede una spinta e mi seppellì a faccia in giù nel fango. 
Sentii le sue mani grosse che frugavano nelle tasche dei calzoni, e rimasi in silenzio, zitto zitto anche quando qualcosa mi aprì dietro e mi spezzò il respiro. 
Dì a tuo figlio che questa notte la passerà con me in chiesa, mi riempì la voce di Don Lario, deve redimersi per questo atto di egoismo. 
Sì, padre. 
Gli occhi del nemico appartengono alla comunità, sono un messaggio di Dio.
Sì, padre nostro. 
Mi girai per affogare l'urlo del sedere nel fango, appena in tempo, e vidi il dito di Don Lario, solo questo dito prima di svenire, un dito grasso e dritto che si innalzava al cielo.  
Insomma, per farvela breve il giorno dopo il cielo tornò azzurro di un azzurrò così deciso che iniziò a brillare. 
Tempo di trasformarci in penombre e venne la neve, bianca e fredda, fitta fitta; coprì veloce i campi neri e seppellì papà, che da allora mai più ha pianto. 
Con questo tempo i bombardieri non possono vederci, disse il prete, ecco il segno divino, e tutto il villaggio iniziò a ballare intorno alla teca degli occhi celesti.
I grandi si ubriacarono e si abbracciarono tra loro, stretti stretti, e sentii come gemeva mamma e con lei uomini e donne e il mio fratello più grande. 
Noi bambini, dimenticati e un po' spaventati da questi versi, ce ne andammo a saltare tra la neve. 
Costruimmo enormi pupazzi, solo che non avevamo da mettere occhi e naso e bocca e allora scavammo, scavammo verso la terra per trovare i corpi degli animali congelati e spezzammo occhi di gatto, nasi di maiale, labbra di topo e i pupazzi si fecero buffi. 
Ci divertimmo un mondo, davvero; mai ricordo un giorno tanto bello, anche se ogni tanto perdevo sangue dal sedere, però, insomma, bastava che mi accucciassi un po' nel gelo e il mondo riprendeva felice.

Alla sera giacevamo tutti tra la neve, gli adulti con noi, esausti e svuotati, e qualcuno si fece taciturno per morire. 
I fiocchi cadevano ormai fragili, indecisi, e solo allora ci accorgemmo che lei non era andata via.
Seduta a fianco degli occhi nemici, non si muoveva, non parlava, una mano sul grembo, l'altra sopra la teca, le dita così bianche che la neve intorno sembrava pece.  





























I suoi occhi dentro l'orizzonte erano tombe buie che attendevano l'oscurità dei cieli.
Tra poco la guerra finirà, disse Don Lario, ma non tentò nemmeno di rivolgersi alla signora in nero.  
Noi sopravvissuti ci alzammo e, lenti, tornammo alle fosse delle cantine.  

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