Rape - Giovanni Sicuranza
Non inizia presto, attende discreto il mio respiro profondo, la notte del mio corpo.
Dopo cerca ogni ingresso, penetra tra le gambe, nel viso, è deciso e brutale, arriva al fondo nascosto di me stessa e lì, dalle oscurità della carne, strato dopo strato, si allarga tra organi, membrane, si immerge nelle inondazioni di sangue, avanza nelle paludi emorragiche, morde brandelli tissutali che sopravvivono alle lacerazioni, mastica bulbi piliferi; infine, giunge alla cute.
Il dolore è atroce, nulla risparmia del mio esistere; fitte ovunque, fiamme e lame in ogni lembo di pelle, è lui che avanza e graffia i nervi, e poi lo vedo, nei suoi tentativi di uscire, è un livido rosso furioso, l'epidermide che urla, è livido dopo livido, dove il suo corpo preme verso l'esterno, forse un gomito, la schiena, la coda, non so; la pelle mia si trasforma, non è più una barriera protettiva, ma un campo di spine, è la nostra prigione, la mia, la sua; voglio aiutarlo ad andarsene, qualunque cosa purché mi liberi dalla sua fame, da questo desiderio suo notturno di possedermi.
Al risveglio, mostro all'uomo che mi è accanto il mio residuo di corpo.
Lui allunga una mano tremula di dormiveglia, la stessa mano che ha giocato con le mie labbra, quelle del viso, quelle tra le gambe. Era la mano prima del sonno, calda, bramosa, era la mano che aveva preceduto la penetrazione.
Sono di un altro, sono sempre di un altro, gli avevo detto sopra il suo sorriso, un arco di trionfo mentre mi scivolava dentro.
Non questa notte, tesoro.
Verrà dopo di te e mi prenderà.
Ah, puttanella, ti eccita essere scopata da due uomini, sai cosa meriti?
No, avrei voluto spiegargli, non è un uomo, non è come una donna lo aspetta, ma in quel momento meglio era tacere e abbandonarsi all'ultimo piacere della giornata.
Faccio così, quando posso, scelgo un maschio, me lo porto in casa.
Ogni uomo che mi giace dentro, è per dare al mio corpo l'illusione di un'emozione piacevole, il miraggio di un orgasmo, prima che lui torni.
Lui che mi penetra in profondità come nessuno potrebbe, con la rabbia di scoprirmi già presa, un affronto per il predatore; al risveglio, sempre, mi lascia la sua firma di maschio dominante.
Lui esiste da prima di ogni mio amante occasionale.
E occorre calmarlo, questo amante occasionale, che si risveglia e mi scopre deforme.
Adesso la sua mano esploratrice corre sul volto, il suo, non il mio, che è campo di sangue e di lividi, massa disorientata dove ogni particolare è caos.
Le mia labbra, il mio naso, le mie palpebre, non c'è più un disegno anatomico a ricordare la donna che ha desiderato.
A volte gli uomini che mi hanno presa, e al risveglio mi ritrovano così, piangono; poi iniziano le domande surreali, stai bene?, e i tentativi di razionalizzazione, è un incubo, non dovevo bere tanto.
Li lascio fare, attendo che il loro respiro torni a ritmi periodici, attendo che il mio tessuto esterno si sgonfi, piano, che il sangue si coaguli, tutto, ovunque, poi qualcosa dico.
Poco e che poco piace.
Sono amata da un virus, dico.
Osservo l'uomo che tace, che ha occhi dilatati, saldi nei miei; occhi che si spostano appena, scivolano sulle usure del mio seno, e subito scappano in alto a cercare la sopravvivenza dell'umanità; occhi negli occhi, ricorda, solo occhi negli occhi, altri sguardi sarebbero per l'orrore.
E poi continuo.
Il virus mi ama davvero, sai, perché ogni notte mi prende, a fondo, ed è bravo, perché sa come devastarmi; certo, anche tu sei stato bravo questa notte, ma, vedi, lui sta con me da anni e conosce tanto bene i limiti del mio corpo che mi apre da ogni lembo e mai mi uccide.
In genere a questo punto molti se ne vanno, quasi tutti inciampano nei propri vestiti ed escono dalla mia vita, rapidi, a volte senza nemmeno indossare le mutande. Altre volte urlano, si fanno violenti, ma io li lascio sfogare, socchiudo gli occhi e attendo la fine delle bestemmie, delle offese, delle minacce.
Anche loro, nella maggior parte dei casi, alla fine se vanno; ed è per sempre.
E' raro che debba arrivare ad usare la lama con qualcuno, ma sono comunque pronta e se occorre rendo l'uomo occasionale simile alla mia devastazione.
Il coltello da cucina giace al mio lato del letto, sempre insanguinato, ogni risveglio al mio fianco; io mi stupisco, non ricordo come è arrivato fino al cuscino, non comprendo come mai luccica sangue; se non sapessi che la causa del massacro del mio corpo è un virus emorragico, direi che sulla lama ci sono tutte le mie ferite.
No, io questo coltello proprio non lo ricordo, eppure forse è così, forse il virus al mattino si mimetizza, è la forma di un coltello, ed io stringo tra le mani il suo rigido membro.
Deve essere così, che al risveglio assume queste sembianze affilate, per permettermi di penetrare a mia volta gli amanti occasionali.
Di inoculare il virus del dolore nei miei uomini violenti.
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