Carnevale * - Giovanni Sicuranza
Lo guarda.
Inizia così il tempo nell'imbrunire a Lavrange.
Lei che guarda lui, lui che vede oltre; e un sole stanco, ceduto alle ombre.
E' per il carnevale, dice la donna, per questo mi trovo qui; esita, le labbra arricciate, gli occhi sottili; eppure non ci conosciamo, non vorrei disturbarla.
Il vento arriva di ghiaccio alle sue mani, le strattona, le scambia per foglie morte, così pallide, così adagiate sul grembo, poi, sorpreso per non essere riuscito a farle cadere, sale sulle guance della donna, le copre la vista. Lei diventa rossa, gli occhi anche, e l'uomo di fronte sfuma in un'onda di lacrime.
E' una festa di maschere, signore, ma io non la comprendo, così, in questi giorni, mi piace fermarmi un po' tra persone come lei.
Sbatte le palpebre, una, due, tre volte, rapida, fino a quando il vento se ne va e l'uomo riprende forma.
I suoi occhi sono nella donna.
Insomma, mi perdoni se la importuno, vado via subito, è solo che, solo che;
la sua voce, profonda nel silenzio, è la solitudine di un assolo di pianoforte;
vede, signore, indossiamo maschere per recitare la vita, lo facciamo sempre, giorno dopo giorno, quindi credo sia veramente inutile, anzi, grottesco festeggiare il carnevale, e dunque io;
le sue parole sorridono, appena, lievi come un violino gotico tra le tombe del cimitero;
è per questo che vengo tra voi, tra voi morti, intendo, proprio in questi giorni di carnevale, è per trovare volti che hanno perso la maschera;
una pausa, il vento che torna, ora a lambirla appena;
volti veri, signore.
Le dita sottili della donna sfiorano la foto dell'uomo sulla lapide , vanno al viso ornato da gigli pallidi, si posano sui suoi occhi eterni.
La vera festa è togliersi le maschere, mormora, più fragile del vento, il nostro vivere è già un continuo carnevale.
Poi fa un passo indietro, un altro, si ferma appena, sorride all'uomo, e ancora si allontana, proprio così, un passo dietro l'altro, un incedere lento, un adagio sul fruscio della ghiaia, lungo il sentiero che scende fino al cancello.
Mi scusi ancora, le auguro buon riposo.
E svanisce oltre la curva.
L'uomo rimane, fissa le case di Lavrange, i tetti che fumano inverno, neri nelle ombre del tramonto; dalla foto, tra i gigli bianchi, ha uno sguardo che passa oltre le cose,
che va oltre ogni tempo.
* dal romanzo "Sotto la terra qualcosa campa"
immagine: opera dell'artista Naoto Hattori
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