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Bolle


Bolle - estratto dal romanzo "Sotto la terra qualcosa campa" *

Dove dentro nevica c'è un Babbo Natale piccino come un bambino, con un sorriso inferocito e due lividi bui al posto degli occhi. 
E' racchiuso per sempre in questa bolla che osservo, palla di vetro dall'unica stagione. Quando la giro, ricomincia a nevicare, fiocchi sopra fiocchi di gelo, eppure Babbo Natale non è mai sepolto. 
Però non è così che accade nel mondo esterno. 
Non so quante ore ho trascorso con la bolla tra le mani, mi sveglio che è già mattina e solo adesso chiudo gli occhi. 
Lo dicevano anche "Il Rovescio della Medaglia", una band di centinaia di vite prima, all'epoca dell'underground italiano, anzi, forse la canzone iniziava proprio così, 
"mi sveglio che è già mattina e chiudo gli occhi".
Al buio io vedo meglio. 
Nel silenzio dell'albergo sento i respiri delle cose morte. 

Babbo Natale può continuare ad ingannare la neve dentro la palla, può credere che il suo mondo sia il migliore in assoluto, ma io so che anche la neve uccide. 
Non ho chiesto a Leopoldo perché ha scelto proprio me per narrare di morte al banchetto nuziale; certo è che la morte, io, la osservo. 

Qualcuno in basso apre il portone principale, sento i cardini di ferro che frustano l'aria, forse è già un anonimo tra gli invitati. 
Il giorno non mi serve, non apro gli occhi.
Dentro me si illuminano storie di cose cadute, di persone sepolte, di luci spente dall'inevitabilità del buio. 
Muoviti, dice una donna con voce grave, forse una madre spazientita dal figlio; giunge dall'ingresso, subito qualcuno corre lungo il sentiero dell'albergo, solleva nuvole di ghiaia che cadono al suolo come gocce di pioggia. 
L'albergo dei Tre Atti si sveglia in bolle fragili di coscienza. 
Non apro gli occhi. 
Ehi, ma guarda questo stronzo, non ha risposto al mio messaggio!, è un ringhio, esplode nel corridoio con il suono vuoto di una ragazza, poi crolla nel silenzio. 
Non proverò nulla, nulla ad uccidere queste persone che temono la vita. 
Che preferiscono filtrare rassicurate da una chat, piuttosto che incontrarsi tra loro. 
Non parlano, compongono, compulsano messaggi, 
tvb, smack, smiles
Temono l'horror vacui dei tempi morti in una conversazione vera, fuggono dalla noia del quotidiano, come se la noia fosse una minaccia alla vita, ed eccoli, eccoli, fragili mutazioni del confronto diretto; si riempiono di legami costruiti con dieci parole sullo schermo del cellulare, fremono risposte e intanto studiano le frasi migliori per sentirsi accettati. 
Nessun confronto diretto significa nessuna caduta di stile con gli altri, anzi, 
- non apro gli occhi, non ancora - 
prova a proporre un incontro nel mondo fisico e vedrai il fuggi-fuggi di questi masturbati dalle chat, di questi pavidi del "mi piace". 
Anche a sporgermi dal balcone, a uscire sul corridoio, adesso che è giorno, non vedrei persone vere.
Ora comprendo perché Leopoldo ha voluto me per narrare di morte durante la sua festa di nozze. 
Lui mi ha frequentato, lo ha fatto davvero, sa che posso reggere il confronto con Babbo Natale.
Sa che io posso infrangere le bolle di vetro in cui la gente si è chiusa.
E poi tornare a dormire. 
Giovanni Sicuranza

* nota dell'autore: se volete approfondire il contesto in cui è calato questo estratto, consiglio la lettura degli altri scorci narrativi di "Sotto la terra qualcosa campa" (libro di prossima pubblicazione), già inseriti nel blog "Neurotopia" e nella pagina facebook "I romanzi di Giovanni Sicuranza"; grazie. 
       

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