Complicità - Giovanni Sicuranza
Quando esco di casa, le chiedo se ha goduto.
Alla casa, intendo, non a lei.
Lei mi accoglie con parsimonia, al buio, pezzo dopo pezzo di carne, come se dovesse assaggiare un'altra medicina.
Quando vado via, silenzio sopra silenzio, quando sono fuori dalla porta, mi giro, il tempo di un sospiro tardivo, e chiedo se avermi dentro le è piaciuto.
Lo chiedo alla casa.
Dalla stanza da letto, sopra la mia testa, la luce si accende e,
subito,
si spegne.
Lei si è alzata sulle rughe delle lenzuola, ha illuminato la ricerca della vestaglia, ha stretto tra le mani il trespolo della flebo, poi è corsa in bagno, di nuovo al buio. Va avanti così, ogni volta da tre mesi;
un virus la sta divorando dall'interno, questa è la diagnosi, e lei fa così, si spegne per non scoprirsi nuda e sottile, sempre più sottile.
Ma non importa, non più.
Io, a piedi nudi sul prato assetato, domando e guardo quella finestra.
Si accende e subito si spegne.
E' la casa che risponde. Mi invita a tornare, ancora, fino alla fine.
E' la casa che mi fa l'occhiolino.
un virus la sta divorando dall'interno, questa è la diagnosi, e lei fa così, si spegne per non scoprirsi nuda e sottile, sempre più sottile.
Ma non importa, non più.
Io, a piedi nudi sul prato assetato, domando e guardo quella finestra.
Si accende e subito si spegne.
E' la casa che risponde. Mi invita a tornare, ancora, fino alla fine.
E' la casa che mi fa l'occhiolino.
Commenti