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Infine


Infine - Giovanni Sicuranza 

- Cesare Palladino ha detto?
- Paladino, scusi. 
- Quante elle?
- Una. 
- Va bene, una. E di professione?
Ci siamo. I passi fruscianti sulla carta perdono slancio, si fermano, e la penna rimane come la fotografia di un pelo nero, inclinato, incarnito, sulla pagina del Registro di Collocamento.
La testa della donna si solleva all'altezza del mento di Cesare Paladino, detto O'traghètt, e lo fa con espressione sofferente, insofferente. Una smorfia grassa, con opacità giallo paglierino sui denti, il viso gonfio e fragile sopra un busto immenso, che ciondola con la cautela di una testa di tartaruga. 
O'traghètt prova a sorridere, almeno a sollevare le labbra sotto il peso dello sconforto. 
- Che faceva, lei, Palladino? 
- Cosa facevo? Nella vita?
- Perché, adesso è morto?
Le iridi miopi della donna sono deformate dallo spessore degli occhiali; lui si sposta appena, solleva lo sguardo, e quelle, distanti, salgono ancora, sempre appiccicate al suo mento.  
- Facevo il medium, signora mia. Mi chiamano O'traghètt, perché  portavo le anime dei defunti fino al nostro mondo, le mettevo in contatto con i loro cari.  
Eco di deglutizione, lui; sbuffo annoiato, lei. 
- Cioè, di lavoro faceva il medium?
- Si, proprio così, signora mia. 
Silenzio. Sul modulo la penna non si muove, non ancora. 
- Cioè - e la voce è così distante, come se a separarli non ci fosse solo il ripiano dello sportello di accettazione, ma una manciata di universi divergenti - medium, devo scrivere proprio così?
Cesare Paladino cerca di inspirare l'aria dell'ufficio, tutte le muffe dei moduli di disoccupazione, e diventa più grosso, almeno crede. 
- Signora, ero famoso per le mie esibizioni, io. Mi chiamavano O.
- D'accordo - la penna si muove, mica in un fruscio di passi, no, adesso sembra una risata soffocata - Mi dica perché fa la domanda di disoccupazione. 
- Per colpa di internet, signora mia, per colpa di Twitter, Facebook  e altri social, mi creda. 
- Ah - fa lei, soltanto. 
- Ah - ripete, la penna che si abbatte sul foglio. 
Negli oblò degli occhiali, occhio destro e occhio sinistro sembrano pesci scuri che cercano la libertà, prima verso i bordi di destra, poi di sinistra, e ancora a destra, veloci. 
O'traghetto aspetta. E' da trent'anni che aspetta gli occhi della gente, smarrimento dopo smarrimento, mentre tentano di fuggire da lui, fino a quando non si placano, esausti.
- E' sicuro di non avere bisogno di, ehm, signor Palladino. 
- Una elle, Paladino, una sola elle, signora.
- D'accordo, senta, signor Paladino, è una giornata pesante. 
- Lo so. 
- E forse, ecco, forse. 
Le dita di lei si aggrappano alla penna distesa sul modulo. Sono piene di anelli colorati, sono segmenti di un verme psicadelico. Come corpi astrali, si corregge O'traghètt, e allora chiude i suoi, di occhi; tanto la realtà va oltre il visibile, non importa che sia fatta di spettri, di internet, di persone con cui comunicare è più difficile di un'esperienza ultraterrena.
- Signora mia - dice - le spiego, prima noi medium avevamo lavoro, mi creda, dall'Ottocento la gente ha cercato il contatto con gli spiriti, con l'etereo, quindi si rivolgeva a noi. Ci chiamava, dapprima con eventi a teatro, poi nei silenzi del dolore per la perdita di un caro. E poi - dice O'traghètt e non prende fiato - mi creda, con gli spiriti si cercava l'onniscienza, poi è arrivato internet e Facebook ed ecco cosa è successo, è successo che il mondo virtuale siamo diventati noi stessi e, mi creda, perché mai dovremmo cercare ancora gli spettri, se viviamo come entità? Signora mia - dice O'traghètt e mica prende fiato - preferiamo i contatti su Facebook, li preferiamo a una telefonata, ad un incontro di persona - un rantolo e non si ferma a respirare, mica lo fa - Mi creda, signora mia, abbiamo sostituito il desiderio di comunicare con gli spiriti, perché noi stessi ormai viviamo come spiriti, ah, declamiamo l'onniscienza della rete, come pensavamo alla sapienza delle entità sovrannaturali, ma qui ci sono solo piccinerie, mi creda, alla fine è questo il nostro sapere, alla fine il nostro comunicare ha la stessa superficialità dei dialoghi con gli spiriti, come stai, caro, come va laggiù, ti senti solo, hai freddo - O'traghett affoga nelle parole, non cede - Alla fine, mia cara signora, questo resta, il desiderio umano per il travestimento, per la finzione, per l'avvicendarsi delle maschere. 
Spalanca gli occhi, O'traghètt, un guizzo che nulla più vede, c'è solo la voce atterrita della signora, offuscata come un velo di pianto, "Oddio, aiuto, che ha, un infarto? Prenda fiato, cioè, aiuto, sta bene, ha freddo?"
- Sono disoccupato, signora mia cara, perché ora c'è la rete, però, mi creda, questo rimane, lo stesso bisogno per cui cercavamo l'etereo - è l'ultimo respiro, O'traghètt lo sa, chiude ancora gli occhi, si lascia andare - Desideriamo l'impossibile, signora, di questo abbiamo bisogno, che sia nello spiritismo o nel nostro vivere come realtà virtuali - un gemito, un sibilo e il rantolo, infine  - Noi, mi creda, preferiamo l'invisibile.




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Nome e cognome del protagonista sono una sorta di omaggio a due personaggi storici, noti in Italia soprattutto ad inizio Novecento, in due campi apparentemente agli antipodi: scienza positivista e spiritismo; apparentemente, perché, allora, il confine tra entusiasmo e metodologia scientifica e superstizione mitologica era sfumato. I due personaggi ebbero modo di conoscersi, confrontarsi, purtroppo con il soccombere parziale della scienza sul metafisico. Chi sa a chi mi riferisco?

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