Breve monologo, scritto di getto durante il primo ricovero per embolia polmonare. Mi piace perché traduce il pessimismo dei medici, che era diventato un po' mio, ma solo un po', e alla fine di nessuno. Poi c'è questo: mi trovavo lungo l'effetto di un farmaco morfinoide, tra rami di flebo nel dorso della mano, negli avambracci, insomma, avete presente, stile penetrazione dei rami nel film "La Casa" di Raimi, solo che io ero il protagonista in versione ospedaliera; avere scritto questa piccineria in tale stato, nonostante tale stato, mi rende un po' fiero di me. Solo un po', intendo.
Il mio amato
Giovanni Sicuranza
- Lo amo, bastarda!
- E allora? Sai quanti legami ho spezzato, crack improvvisi nella loro apoteosi.
- Con noi, no, non riuscirai.
- Nei secoli dei secoli.
- Cosa?
- Che noia, quante volte ho sentito sprecare questa frase. Lui sarà attratto da me, infine, ti dimenticherà.
- Beh, troverò un modo. Amo troppo Giovanni Sicuranza per cedertelo.
- Allora cercalo, questo modo. Io rimango qui, al tavolino del bar "Oltre", nessun problema. Anzi, se permetti, vorrei godermi il mio cocktail preferito. A proposito, un po' di "Caduta Speranza"?
- No, devi solo dirmi cosa fare per sconfiggerti, Morte.
- Oh, Giovanni Sicuranza, caro, non saprei. Prova a uccidermi.
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