Il proprio romanzo come un frammento d'anima? Fate voi, personalmente rifuggo da questi slogan intimistici; per alcuni saranno veri, per altri, suppongo, luoghi comuni, adattabili ad ogni circostanza e, in ultima analisi, privi di spessore (perdonerete il volontario accostamento di "spessore" con "anima", se in un'anima credete)
Il mio libro è più come un corpo altrui, un corpo attraente, da possedere, da scrivere con la carne, anche più volte, purché senza aneliti di anime, senza dichiarazioni di amore; scritto uno, desidero già il prossimo romanzo in un piacere fedigrafo.
[immagine: "Le nevralgie costanti" di Thomas Marcolongo]
Commenti