Io sono - Giovanni Sicuranza
Come fate a dire che il mio pensiero è negativo, quando non c'è comparazione con un positivo. Io non concepisco la positività dell'esistenza, almeno non come voi la intendete. Non mi sento un essere sociale, mai, tantomeno individuale. La mia ultima compagna mi ha lasciato con la frase delle altre, "tu, figurati, tu nemmeno sai cos'è una vita sociale", ecco cosa mi ha lanciato addosso, prima di annichilirsi dalla porta. Parole che mi danno spesso da pensare, anche ora, lungo il pendolo delle mie gambe funebri sul tappeto nero.
Perché c'è una vita sociale e non una morte sociale?
Non mi interessano le catastrofi naturali, si abbattono sulla società, vero, ma sono indifferenti alla volontà corale di chi uccidono. Nemmeno gli attentati possono definirsi morte sociale, bensì espressione di pochi su molti.
No, mi fermo, le mani sulla finestra aperta nel buio, le dita che annaspano in caduta sulle schegge del vetro, intendo la volontà di tutti di darsi la morte, come espressione finale della coscienza; così concepisco l'antidoto a questo carnevale di maschere ipocrite, che voi chiamate vita sociale.
Il punto, credo, è che non possiamo morire se non cogliamo il senso della vita. Ci dedichiamo al frivolo del quotidiano per non sentirci troppo vivi, io sorrido a te, tu sorridi a me e 'fanculo gli altri. Siamo frenesia e siamo convenzione per non ricordare la vita, quella vera, lo facciamo per dimenticare che la vita profonda presuppone la morte, che ne è l'intenso e unico preludio; ecco, questo avrei risposto alla mia donna, e a quelle prima di lei, se avessi conosciuto le parole per dirlo, per dirlo davvero, intendo, e intanto una mia gamba sarebbe stata già oltre il davanzale e l'altra avrebbe oscillato, lenta, a pochi millimetri dal tappeto. Questa sarebbe stata la mia vita e la mia morte sociale e lei non avrebbe avuto modo di replicare e lei sarebbe rimasta a guardare, senza possibilità di lasciarmi, di uccidermi tra le sue esperienze fallite.
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