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Sul mio prossimo romanzo


Il mio editore mi ha sconsigliato di inserire argomenti con queste tematiche; "post", mi ha corretto, esasperato dalla mia autarchia  a tratti sparsi, cioè quando ne ho voglia; perdi consensi, mi ha rimproverato, giusto un respiro prima di perdere la vita; comunque, il punto è che ho anche istinti masochisti e poi che sono dispersivo, insomma, alla nona riga di lettura avete notizia degli argomenti in questione? E, soprattutto, chi di voi ha interrotto la lettura per verificare se si trattava davvero della nona riga? 
Beh, eccoli, gli argomenti: in questi giorni ho una trama in testa, l'ebollizione di un nuovo romanzo. No, mi sono corretto, ed è qui che il mio editore ha avuto il primo ictus (tutto un insieme cerebrale, vero?), esprimermi così significa dare adito al luogo comune del pensiero magico. Avere una trama in testa è come ammettere che ho la testa infestata da un pensiero creativo, a me estraneo allo stesso tempo; come scrivere che la mia mente sta per essere forgiata da un'ispirazione che viene da chissà quale sussurro soprannaturale, in un'apertura passiva al fatalismo. Balle, sono sinapsi, stimoli chimici, mediazioni del micro-organico cerebrale, tutta feccia dei miei tessuti e delle mie funzioni, quelle residue, almeno. 
Quindi non ho una trama in testa, ma il mio encefalo sta lavorando in questo senso, non in modo a me estraneo, ma imprescindibile. Il mio prossimo romanzo tratterà anche di luoghi comuni, di fatalismo, di bisogno di inventarci pensieri magici, soprannaturali, perché siamo animali sociali e questi pensieri ci uniscono. Per dimostrare a me stesso che tento di esserne immune, ho deciso di smettere di guardare le persone in faccia. Ecco, qui l'editore ha avuto il secondo ictus e ha perso la favella (il che lascerebbe l'illusione che la favella sia un'entità estranea dal mio editore - e a volte ho avuto proprio questa impressione - e se la sia data a gambe). 
Cosa c'entra guardare in faccia la gente, ha gorgogliato.
L'ultima sua frase, sprecata in una tale idiozia. Insomma, è al volto che noi attribuiamo la magia dell'identità, dell'unicità di ogni individuo; per questo siamo pieni di attenzioni per il viso, inclusa la maggior parte delle immagini che spargiamo nei social network; siamo "intasati" dalla convinzione che noi siamo essenzialmente il volto, nel senso che nei tratti del viso c'è la nostra e l'altrui originalità. Ecco perché ho smesso di guardarvi in faccia, per sfidare questo senso sociale. Il mio sguardo scende ai piedi, che hanno molta più vita del nostro primo piano, perché sono loro, e non il volto, a rappresentare il simbolo evolutivo della nostra specie, e del bambino, con la conquista della deambulazione. Sono loro, quei piedi dimenticati, non certo il nostro viso, a sopportarci per quasi tutti i giorni della vita. Così ora guardo i piedi, compresi quelli inermi, con la punta rivolta al soffitto, del mio editore. 
Beh, non nascondo i lati spiacevoli, perché mi espongo ai pregiudizi, alle nostre necessità di catalogare per capire (anche quando siamo ignoranti)
"Ma, ma lei è un feticista!", è inorridita una donna, piedi esposti ai miei occhi mattutini. 
Non credo, le ho risposto, e, guardate, mentre parlavo mica ho alzato gli occhi dalle sue estremità; cioè, se potessimo fare sesso, certo apprezzerei anche l'armonia dei suoi piedi, gentile signora, ma non basterebbe ad eccitarmi fino all'orgasmo; per cui, no, non sono un feticista, signora; da oggi, vede, nemmeno un fatalista.
Il mio editore è deceduto senza capire cosa voglio evidenziare; nemmeno io, non ancora almeno, ma ci sto lavorando dentro.

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