Ultimo rispetto - Giovanni Sicuranza
Esci dalla mia terra, veloce come un brivido, porta con te i vermi e le conchiglie di pelle defunta.
Lui mi guarda, ci prova almeno, si volta dal sentiero di ghiaia, dal gemito di morte che è la sua nuova strada senza tempo, e quando le paludi delle iridi bagnano le mie, affonda una falange nel naso.
Faccio no con la testa e sollevo il fucile sopra le spalle, Il tuo cervello è sulla parete, sopra il nostro letto, sorrido, Quel poco che hai avuto, almeno.
Ah, fa lui e un qualcosa nelle orbite sembra dargli luce. Un piede sul sentiero, l’altro nella mano. me lo lancia, prendo la mira, il cielo esplode e ossa e frattaglie si aprono a ventaglio nel tramonto.
Piove merda, sbuffo, è ora che ti incammini.
Lui cerca di mordersi il labbro inferiore, poi ci prova gusto e passa al mento.
Ti prego, non qui, gli dico, Anche da morto riesci solo a mangiare, mai una mano, mai un pensiero per tua moglie.
È così che si ferma, solleva i tendini prensili all’altezza degli occhi, grugnisce, e l’attimo dopo stacca la mano destra, proprio alla giuntura con il polso.
Me la lancia e questa volta non sparo. Piego le dita, le fisso nel rigor al bordo dei pantaloni e annuisco, finalmente soddisfatta.
Da allora non ho più visto mio marito.
Immagine: "Il sentiero di luce", olio su tela di Enrico Merli
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