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Visualizzazione dei post da marzo, 2013

"Polvere di Silenzi" (2012) Giovanni Sicuranza

[...] Mi chiedono se conosco la data di oggi.  Li guardo.  Sorrisi lanciati da una parte all’altra della scrivania, ping pong di dilettanti.   Allora, insistono, ci dica.  Quello sulla sinistra fa “tic tic tic” a rimo sincopato tra indice e medio sulla plastica.  Che giorno è. Oggi, intendono.  Lascio perdere la partita di ping pong e vado oltre la finestra.  Nuvole grigio topo circondano il mio sguardo. “Tic tic tic”.  Signor Mnesico, la voce sulla destra, femminile, dolce.  Mi volto.  La dottoressa continua a sorridere. Colpisce perché ha una maschera materna e perché i suoi occhi svelano la maschera. Mi guarda come mia moglie guarderebbe uno scarafaggio in scalata sul lavabo della cucina.  Se avessi una moglie, intendo. E una cucina, intendo.  Il medico al suo fianco ha già rinunciato e osserva la documentazione di una tale Graziella Illusoria, scritto sulla copertina con pennarello a punta larga. Nero. Però non smette di martellare con le dita. 

"Ritorno a Città di Solitudine" (2011) Giovanni Sicuranza

[...] Un giorno mi separa da lei. Solo un giorno. Un’attesa così breve che, lo so, non finirà mai. I minuti scavano nel mio desiderio, erodono la mente. Lei sta tornando. Devo solo aspettare.  È un assioma semplice. Oltre la finestra della nostra stanza, i colori d’autunno vorticano nel vento.  È un vento che morde, questo, lo sento nella carne, ha persino mangiato la nebbia che avvolge di Fine Viaggio e ne mostra le spoglie.  I rami degli alberi sono arti scheletrici, che innalzano mute suppliche a un cielo indeciso tra il grigio e il nero, indifferente mentre la loro pelle marrone, secca, scivola al suolo.  I miei occhi vedono solo questo e tutto questo ha il nome di lei. Un nome che spezza il respiro.  È troppo grande il dolore che mi ha lasciato quando ha intrapreso il viaggio. Una decisione improvvisa, lontana, oltre i confini della nostra vita insieme.  Sono tentato di voltarmi, di adagiare lo sguardo sul letto in cui abbiamo diviso passione e sonno e lettu

"Storie da Città di Solitudine e dal Km 76" (2010) Giovanni Sicuranza

[...] Devo farmi largo, largo tra questa folla che lastrica la strada .  Il dottor Pier Paolo Lemme è corsa frustrata di gambe su parole silenziose e sguardi di attenta insofferenza.  Con la sua borsa di finta-pelle-escoriata, in una mossa poco convinta schiva per un pelo sezionato il capo di una bambina, che ancora ondeggia di stupore e spavento mentre lui ha già circumnavigato l’angolo del palazzo in cui giace la sua visita fiscale.  L’ultima.  E poi al diavolo questa frazione di paese perduto tra abbondanza di nebbie e siccità di cartelli stradali. Ha trovato giusto un’indicazione,prima che la statale si interrompesse, come cancellata dalla nebbia. Un palo di cemento che recita “Km 76”.  Settantasei chilometri di cosa, poi, mica lo ha capito. Spera non di case da visitare nei prossimi giorni.  Comunque, per oggi ha lasciato la macchina non ricorda nemmeno esattamente dove, inclinata tra fila di alberi spogli, ma a ritrovarla c’è tempo, l’importante è riuscire a su

"Quando piove" (2007) Giovanni Sicuranza

[...] Mentre cammino vedo in lontananza uno dei quattro parcheggi esterni della Villa, il più ampio, percorso da un lento movimento di automobili. Da quel lato ci sono gli ingressi del Poliambulatorio, sempre aperto dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19 e al sabato dalle 9 alle 13, come recitano gli avvisi all’entrata e in varie zone della città.  Li ricordo, quegli avvisi, cartelli gialli con scritte scolpite in nero, che ho sempre visto in città da quando ho iniziato la mia professione, dapprima nelle vie periferiche, poi negli angoli delle pagine di un giornale, quindi sempre più invadenti e decisi, distesi su intere pagine dei due principali quotidiani locali, nella pubblicità delle riviste, delle reti locali, dei cinema.  Poliambulatori Tosarelli, sempre al vostro fianco, uniti con voi per i vostri diritti, l’evoluzione della giustizia, una mano amica e un orecchio attento dopo un incidente stradale, eccetera eccetera. Ho sempre pensato che Tosarelli abbia fatto a livello

Oltre

Oltre   Giovanni Sicuranza Quando sento le gocce dei tuoi piccoli passi e  la casa  vibra  nel cristallo delle tue risate bambine,  le mie lacrime, quietate, sorridono, fino ad assopirsi  sulle schegge di un padre infranto.

Ultimo rispetto

Ultimo rispetto - Giovanni Sicuranza Esci dalla mia terra, veloce come un brivido, porta con te i vermi e le conchiglie di pelle defunta.  Lui mi guarda, ci prova almeno, si volta dal sentiero di ghiaia, dal gemito di morte che è la sua nuova strada senza tempo, e quando le paludi delle iridi bagnano le mie, affonda una falange nel naso.  Faccio no con la testa e sollevo il fucile sopra le spalle, Il tuo cervello è sulla parete, sopra il nostro letto, sorrido, Quel poco che hai avuto, almeno.  Ah, fa lui e un qualcosa nelle orbite sembra dargli luce. Un piede sul sentiero, l’altro nella mano. me lo lancia, prendo la mira, il cielo esplode e ossa e frattaglie si aprono a ventaglio nel tramonto.  Piove merda, sbuffo, è ora che ti incammini.  Lui cerca di mordersi il labbro inferiore, poi ci prova gusto e passa al mento.  Ti prego, non qui, gli dico, Anche da morto riesci solo a mangiare, mai una mano, mai un pensiero per tua moglie.  È così che si ferma, solleva

Pneuma

Pneuma – Giovanni Sicuranza   Adesso ascolta la storia, su ogni mia parola cerca di essere complice del tuo respiro, piano, come mai hai fatto.  Non ignorarlo, non questa notte, figlio mio, il respiro è il vento migliore del mondo, ma sono le cose ovvie che ci fregano, perché le diamo per scontate, non ne comprendiamo l’importanza, fino a quando, all’improvviso, mancano.   Tu eri appena nato, allora, ed io già sapevo che il mio respiro era troppo ruvido, troppo corto, sempre più corto, per non spezzarsi a breve. Avevo ordinato il pezzo su internet, un buon affare, spese di spedizione incluse e, guarda, risparmiati l’espressione di compatimento, sapevo che non avrebbe promesso quello per cui l’avevo pagato, ma era importante lo stesso, era il feticcio della speranza, per cui ero disposto a pagarlo anche dieci volte tanto, senza sentire puzza di fregatura. Un po’ come con il catorcio del tuo primo motorino, ricordi, te lo dicevo che valeva meno, troppo meno, ma per te er