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Nostra Signora della Fossa - Neve, la neve


Nostra Signora della Fossa - Neve, la neve 
Giovanni Sicuranza

No che non torno, io là fuori, no, dice Don Dino dalla sagrestia. 
Papà Sergio sente l'eco friabile della paura e ha il viso viola, ferito dal gelo, ogni profilo affiorante oltre il cancello della cripta. Il naso gocciola sulle labbra, dentro le microfaglie screpolate. Le mani chiuse sulle inferriate, leccate dalla neve.  
Fino a quando la smette, mi dispiace, io no, il funerale proprio no, piagnucola il prete, scalpiccio nevrotico nella sagrestia. Il cucciolo di chirichetto è stato mandato a casa, senza resistenza, e lo stesso hanno fatto i convenuti alla sepoltura di nonna Affranta. 
Papà Sergio fissa le spalle di Lucilla, inginocchiata sulla neve, le braccia e il capo adagiati sulla bara della nonna. E' una statua, Lucilla, momento mori di capelli neri e arruffati, di cappotto nero e pianti. 
- Voglio la mia bambola, lamiabambola. 
La neve cade sulla bara, intensa, ma non ha equilibrio, perde e scivola lungo il legno liscio, come lacrima bianca. 
- Forse dovrei dirle che non è stata lei - sospira papà Sergio.  
Dalla sagrestia tintinna un vetro, poi un altro, pausa, gorgoglia un liquido. 
Tutto amplificato nella cripta, fino a papà Sergio.
Don Dino si salva nel sangue del Cristo, pensa, e poi - Forse dovrei dirle - dice. 
Gli occhi perdono lacrime, confluenze sul muco del naso, tutto fagocitato nella bocca aperta al vento. 
Lucilla e la bara, inviolate dalla neve, sagome forti di nero e di morte. 
- Forse dovrei dirle che le bambole non servono, che la sua amica l'ho uccisa io, per non deluderla. 
Tin glug tin tin oh, santo cielo, io lì fuori, no, glug glug tin, se non si calma lascio la bara senza sepoltura, salmodia il prete dalla sagrestia. 
Papà Sergio chiude gli occhi, forte, come a contrarre la testa,  a unire il cranio al mento fino ad esplodere.
- Forse dovrei dire a Lucilla che la nonna era la stria buona, che abbiamo inscenato tutto per farle credere di avere potere sulla vita, per controllare il suo lato malvagio. 
La neve paralizza i fiocchi tra il cielo e la terra, il tramonto persiste tra il giorno e la notte. 
La bara e la bimba e la morte e il pianto. 
Papà Sergio urla, le inferriate della cripta tremano e santocielochesuccedeora, zoppica Don Dino. 
- Nonna Affranta usava la magia per combattere Nostra Signora della Fossa! Non sei una stria, Lucilla, le bambole sono solo bambole, ti abbiamo fatto credere di potere uccidere la tua amica, altrimenti saresti andata da lei, da Nostra Signora della Fossa!
Miodioceleste, Don Dino alle sue spalle, tono genuflesso nel terrore.
Lucilla si stacca dalla bara, piano, si erge nell'aria, piano, e inizia a muoversi, indietro, senza voltarsi, un passo sicuro avanti un altro, verso la cripta. 
- Non sei la nuova stria malvagia, Lucilla, tua nonna era la buona. Non hai ucciso nessuno, Lucilla, le tue bambole sono feticci contro la nostra paura - prega papà Sergio, mentre la figlia avanza, dandogli le spalle, le spalle nere, piegate sui capelli, i capelli neri. 
Don Dino si affaccia accanto, ma non guarda Lucilla, non vede la bara, Don Dino arranca nel cielo, alla ricerca di una via di fuga. 
- Se Nostra Signora della Fossa torna a Lavrange, moriremo. Mioddio, non ho potere su queste cose, io.
- No, padre. Nostra Signora della Fossa torna perché siamo già morti. Tutti. 
- E dove, dove?
La neve continua a cadere, fiocchi grassi, schiere di cielo rigido che seppelliscono. 
Al centro del giardino funebre, la bara nera è sempre nera, la bara immobile è ancora immobile. Un'isola fossile sul mare bianco.
- Forse nonna Affranta ha sbagliato.
Papà Sergio chiude ancora gli occhi - E io con lei - fino a quando sente la voce piccola, la voce amata. 
- Vai a prendere la bambola nella bara di nonna. Sono stanca di fingere, voglio giocare.     
Lucilla ha sette anni e sette bambole di pezza, semplici e belle. Una è nella bara di nonna Affranta, stretta tra le mani della stria buona, stretta nel gelo della morte.
- Portala da me, papà, e seppellisci la nonna per sempre. 
Lucilla è un amore di bimba, che sfiora con una guancia gelida le mani di papà Sergio, oltre l'inferriata, le mani screpolate di vento e sangue.  
I capelli neri ciondolano tra il padre e il prete. 
Don Dino le sorride, perso, con un vago senso di emozione tra le gambe. 
- Portami la bambola, papà, voglio sapere cosa le ha detto la nonna durante la morte. 
- Lucilla - papà Sergio si scioglie, la neve intorno, no.
La bimba ha il viso pieno di candore.
- Dopo, papà, continua a uccidere.
Papà Sergio è già smarrito negli occhi grandi e celesti della figlia. 
- Nostra Signora della Fossa - dice e stacca le mani dal cancello.



L'alba dopo è rotonda di neve, bianca. Solo al cimitero, dove avanza tra le interiora di un Don Dino aperto come agnello sacrificale, diventa rosa delicato. 
Nel giardino funebre c'è ancora l'impronta di una bara, ma anche lì, infine, la neve ha vinto. 

[...]

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