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Il mio Giorno della Memoria #3


Il mio Giorno della Memoria #3 - dal romanzo "La memoria di Tyrenes" 
Giovanni Sicuranza

Il Giorno della Memoria è il Giorno del Rigetto. Mi chiudo in casa, annuncio che sono malato, ma guarda che sfiga, mi dispiace, ogni volta in questo periodo!, spengo le finestre sul mondo. Internet, televisione, radio. Ah, per quanto sopravviverà, la radio, ancora non so. Chissà se dedicheranno anche a lei un giorno della memoria.
Insomma, decido di ignorare le pecore al pascolo del qualunquismo. Oggi si accendono le sinapsi mediatiche, e noi con loro, brilliamo di neuroni specchio, quelli dell'imitazione che ci fa sentire buoni, impegnati. 
Immagini di bambini dietro il filo spinato, facce ritagliate nell'oblio sopra pigiami a righe, gonfi di qualche taglia in più. Sempre le solite foto. Sempre ebrei, almeno a leggere le didascalie. Tutte datate 27 gennaio. 
Mi metto a letto e mi masturbo con il gin, un sorso dietro l'altro. Io mi faccio una sega di alcool, loro si fottano di superficialità. 
Non sanno, non comprendono quanto bene fanno alla causa dello sterminio. 
Questi sbandieratori a cottimo della condanna della strage ebraica sono gli stessi che credono di essere vaccinati agli olocausti; la loro mente caustica, olocaustica, bruciata di nozionismo, quella che in ogni giorno giudica e ghettizza in base alle apparenze, alle etnie, ai colori. E che questo insegna ai figli, che chi non è conforme, fosse anche l'avversario della squadra di calcio, è comunque un diverso.
E' il seme dell'olocausto, nemmeno lo sanno, o se lo sanno pensano che tanto, a noi, non accadrà. Mai. Perché solo i nazisti erano i mostri. 
Fotto anche Facebook, con una lunga sega in suo onore. Facebook che è la catarsi dell'omologazione, dove sei qualcuno quando condividi, quando piaci con il "mi piace". Quando critichi, nien, fuori, raus! Poche balle. 
Il Giorno della Memoria è un affronto che dimentica lo sterminio dei disabili e degli oppositori politici e dei rom e degli omosessuali. E' un 'fanculo rinnovato degli altri Governi, che chiusero gli occhi sulle intenzioni naziste. 
Per questo trascorro la giornata a masturbarmi, in silenzio, isolato. Per fottere ognuno di voi, voi che in queste ventiquattro ore gongolate di slogan, convinti che un accenno fugace sul solito modo di rappresentare l'olocausto vi renda utili, ignoranti persuasi di essere immuni dall'odio.
Ho spento ogni trasmettitore di idiozie e mi sono dato al letto. Il mio errore è stato non chiudere subito gli occhi, è stato lasciarli sul pavimento.  
Il numero di ieri, il giornale aperto sulla cronaca estera, accanto al mio lato. Dimenticato.

Sobbalzo alla notizia in angolo di pagina, poche righe, pressate, senza foto. Forse messa lì giusto per riempire, con il messaggio di non darle importanza. Solo che io ho letto il nome in grassetto e questo basta a sporgermi oltre il bordo, gli occhi frenetici sulle parole. 
In un paese del Peloponneso, scrive un gionalista con firma A. H., si aggira un uomo in divisa nazista. Non si sa da dove venga, alla polizia risulta sconosciuto, del resto non ha commesso reati. 
Non ancora, penso, la pelle delle braccia che si trasforma in pelle d'oca. 
L'uomo afferma di essere tornato per completare il compito del Reich, che il suo nome è Bertrand Schäfer. 
Ecco, chiudo gli occhi. Rivedo mia nonna e, più che un'ombra seduta accanto alla stufa, lei è il racconto del mio bisnonno. 
Mi sporgo di più dal bordo, le dita che sono uncini sulle lenzuola, come a trattenermi dal precipitare in un baratro.  
Bertrand Schäfer, leggo ancora, grassetto, Bertrand Schäfer
Bertrand Schäfer, diceva mia nonna di suo padre, era il Hauptsturmführer del Reich, l'eroico Responsabile del Campo di Concentramento di Hannau.
L'articolo si conclude con una nota singolare, beffarda. Questo Bertrand Schäferch, questo povero pazzo, a cui solo gli abitanti del villaggio sembrano dare un incredibile credito, ha rilasciato una dichiarazione. 
Sostiene che la prova di quanto il Reich sia millenario è proprio nel nostro modo di giudicare gli altri. Per questo il Giorno della Memoria lo ha richiamato a noi. Perché noi siamo i suoi simili. 
[...]

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