Infero agreste *
primo incipit
Giovanni Sicuranza
Giovanni Sicuranza
Il 31 dicembre 1999, all'imbrunire, con il sole che ghermiva gli ultimi angoli della stanza da letto, mia moglie spirò.
Non si trattò soltanto di un abisso aperto nella memoria di un uomo, no.
Con la morte di Eleonora, iniziò a svanire tutto il nostro mondo.
Non si trattò soltanto di un abisso aperto nella memoria di un uomo, no.
Con la morte di Eleonora, iniziò a svanire tutto il nostro mondo.
C'è un tempo circolare.
E' il tempo della semina e quello raccolto, è il ritmo delle fasi lunari.
Appartiene al popolo agreste, al contadino.
C'è un tempo lineare.
Ne fa parte il tempo cronologico, dal latte alle rughe, fino alla negazione del respiro, assoluta e permanente.
E' il tempo della Storia, è quello del guerriero. E' il tempo del moderno.
Emanazione del tempo lineare è anche il tempo escatologico. Accompagna mistici, religiosi e superstiziosi, dalla Creazione dell'Universo alle Apocalissi.
Eleonora morì nel tempo circolare, nella sospensione tra ciò che è stato raccolto e ciò che abbiamo seminato.
Io seminai mia moglie, dopo avere distrutto il nostro raccolto.
Morì, Eleonora, anche nel tempo cronologico, a tre anni dall'incidente che aveva frantumato la vetrata di "Poco loco", il pub di fronte casa nostra, e fece ben peggio con le ossa di nostro figlio. Benedetto fu investito da un motociclista alle 18.30 del 31 dicembre 1996 e scagliato contro il pub con la potenza di un proiettile. Le ruote dello scooter erano scivolate sulle feci semiliquide del mio cane.
Non le avevo raccolte, quel giorno; quel giorno Blues aveva la cagarella e non riuscivo ad andare al ritmo del suo intestino. Basta, le lascio qui, mi ero detto, in mezzo alla strada.
Ad organizzare la morte di Benedetto, fu l'intuizione mancante.
Non le avevo raccolte, quel giorno; quel giorno Blues aveva la cagarella e non riuscivo ad andare al ritmo del suo intestino. Basta, le lascio qui, mi ero detto, in mezzo alla strada.
Ad organizzare la morte di Benedetto, fu l'intuizione mancante.
Eleonora si spense nel lutto, esclusa dalla mia vita, segnando il resto del nostro tempo con i suoi sospiri, appesi alla finestra sul pub.
E quando morì, lo fece anche nel tempo escatologico, perché il 31 dicembre 1999 era il primo giorno dell'Apocalisse.
Piangevo sul suo seno immobile e nel cimitero di Lavrange i ritornanti iniziavano a smuovere la terra umida, dapprima solo qualche impercettibile accumularsi di erba e radici, qualche oscura migrazione di larve, poi fino alla rivelazione del loro nuovo stato.
Erano incazzati, incazzati fino all'osso. Erano incazzati marci.
Mica lo sapevo, nessuno ancora lo sapeva, che si erano stancati di attenderci, noi che avevamo abbandonato i riti commemorativi del Capodanno, del buio passaggio da un anno all'altro.
Trovarono il mio Paese impreparato, speso tra regali e addobbi festivi, e per loro fu facile conquistare il potere a partire da movimenti di protesta.
A capo dei "Seminatori", il più numeroso e violento di questi, ci sarebbe stata Eleonora, con la sua carne femminea scivolata dalle ossa, con i suoi occhi azzurro opaco, come un dipinto ad acquerello troppo diluito, e con quella voce diaframmatica, dalle fredde caverne aperte nel torace.
A capo dei "Seminatori", il più numeroso e violento di questi, ci sarebbe stata Eleonora, con la sua carne femminea scivolata dalle ossa, con i suoi occhi azzurro opaco, come un dipinto ad acquerello troppo diluito, e con quella voce diaframmatica, dalle fredde caverne aperte nel torace.
La incontrai nel nuovo tempo, per caso e per terrore, e fu così che iniziò la nostra seconda, vera, possibilità.
Questa, alla fine, è solo la storia di un amore ritrovato.
E di un senso di colpa governato dalla morte.
E di un senso di colpa governato dalla morte.
* testo depositato con sistema anti-plagio neteditor
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