Oltre la trasformazione cristiana, che (anche con sistemi traumatici e violenti) si è appropriata di tradizioni indoeuropee, questo è il periodo dell'attesa della rinascita agreste e, di conseguenza, del contatto tra il mondo dei vivi e quello dei morti. E' il varco temuto e auspicato. Temuto, perché i ritornanti sono entità malvagie, o parenti trapassati verso cui ancora sentiamo di dovere qualcosa; auspicato, perché tra i ritornanti ci sono anche i nostri avi.
La semina e il sottosuolo, il visibile e l'invisibile, il "superi" e l'inferi, si fondono nell'attesa agreste del popolo.
Nel buio invernale, dai primi di novembre fino al 6 gennaio, i rituali, Babbo Natale, la Befana, i botti di Capodanno, resi insipidi dalla commercializzazione, affondano nel respiro dei dies natalis solis invicti e di altre superstizioni e trovano profondo significato nel varco tra i vivi e i morti.
Avete letto il mio ultimo romanzo, "Infero agreste", dunque sapete già molto, molto più di questi sterili accenni.
Non importa se "Infero agreste" è ancora inedito; nel tempo lineare, cronologico, convenzione dell'era umana, manca poco.
Manca poco anche al Capodanno, crocevia tra ciò che è stato e ciò che, ancora, è.
Manca poco anche al Capodanno, crocevia tra ciò che è stato e ciò che, ancora, è.
* testo depositato con sistema anti-plagio neteditor
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