Il mio giorno della memoria
Giovanni Sicuranza
Nel giorno della memoria, mi capita di pisciarmi addosso. Non dimentico di farla, è che proprio non me ne accorgo.
Nel giorno della memoria, ogni giorno di ogni anno, la coscienza si distilla negli umori del campo di lavoro e diventa estranea all'agonia del corpo, al suo contrarsi e distendersi, al suo secernere ed espellere.
Il mio corpo è disfunzione, la mia mente è eterna, formalina dei ricordi.
Capita che mi tocco, unico momento in cui ho la consapevolezza di essermi bagnato.
Toccarmi mi fa sentire sopravvissuto, mi ricorda che ho superato quei momenti, perché ero un grande uomo. Insomma, nei mesi della soluzione terminale, al campo di lavoro ho cercato di esprimermi soprattutto tramite il mio arnese.
Mi commuovo spesso, nei giorni della memoria, io come gli altri residui della morte.
Nel giorno della memoria, piscio persino dagli occhi.
Barcollo alle commemorazioni televisive e, vedete, ho sempre questa stilettata di malinconia, qui, proprio dietro lo sterno, che mi frammenterà il cuore.
Presto troverete un ramo secco, scomposto davanti al televisore, i pantaloni gialli d'urina come foglie d'autunno. Ah, sì, e noterete le mani convulse sullo scarabocchio tra le gambe.
Un vecchio malato, poveretto, direte, con un sorriso patetico.
E sarà la sintesi della vostra ignoranza.
Non credo che siano sopravvissuti molti, a contare tutti i bambini e tutte le donne, a rivedere tutti i giudei che ho sodomizzato nel campo di Treblinka.
A rinnovare le sensazioni di potere dentro quei corpi spezzati, tra i fumi del mio Reich millenario.
A rivivere ogni giorno della memoria.
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Se preferite, leggete il racconto tra circa un paio di mesi.