Frammenti di lettori
Giovanni Sicuranza
Regalo "Polvere di Silenzi" ad un collega, quello che chiamano Occhio Raso. Gli altri della Medicina del Lavoro, intendo, mica io. Però è vero, ha le iridi all'altezza del suolo, rasoterra, incapaci di un'escursione sui nostri volti.
E' un soprannome che ferisce, così ho sempre pensato.
Per questo, ora, lo evidenzio.
Veloci, tra un treno e un panino allo Snack Bar, oggi ritrovo "Polvere di Silenzi" con Occhio Raso.
"Ah, vedi, il tuo libro, ecco", la sua voce, un pozzo di ottave più profondo del solito, "L'ho abbandonato alla quarta pagina, sai, non è un romanzo di facile lettura", spinto da un sospiro, lo sguardo si è disperso tra le nuvole, "Non hai mai scritto qualcosa di più semplice?"
Regalalo a chi potrebbe piacere, propongo.
Lo sguardo di lui non scende. Forse non scenderà più, mi sgomento addosso, la consapevolezza della mia mediocrità gli ha dato la forza di valicare i volti. Io sono la prima eccezione alla regola della sua timidezza. Io, l'autore del libro, sono la prima sconfitta che riconosce al di fuori del suo fragile vivere.
D'accordo, sussurro, dammelo, balbetto, lo prendo io.
Ho abbandonato la copia del libro alla stazione di Forlì, supina nella terra di nessuno di una panchina autunnale.
L'ultima volta che l'ho vista, questa mia opera sconfitta, salivo sul treno per Bologna.
"Polvere di Silenzi" è rimasto lì, romanzo orfano, silente.
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