Piccole prove di genocidio – Giovanni Sicuranza
Ogni volta che si parla di genocidio, pensiamo a una deviazione dell’Umanità, a un’eccezione non ripetibile.
Dal Rwanda all'Olocausto, dal Darfur all'ex Jugoslavia, gli stermini di massa sono però troppo frequenti per essere considerati devianze. La devianza non è l’evento che accade raramente rispetto alla media, è semplicemente un evento non prevedibile, magari perché non vogliamo vederlo.
Un genocidio in genere si può non solo prevedere, ma anche prevenire, a patto che si riesca a capire. Rinvio, ad esempio, all'antisemitismo presente già in epoca medievale in Europa.
Il fatto di giudicarlo un’aberrazione è assolutorio e ci spinge al rifiuto della “memoria storica”, come elemento estraneo al nostro vivere sociale.
Il genocidio ci riguarda invece da vicino: anche se ci sentiamo impermeabili all'odio, critici nei confronti dell'intolleranza, possiamo esserne fagocitati in maniera apparentemente inaspettata. Possiamo diventare vittime, carnefici, spettatori passivi.
Anche leggendo molti post e commenti in questo social network *, balza evidente come allo sdegno, alle manifestazioni d’intolleranza, a decisioni impopolari, contrarie, o apparentemente contrarie, al benessere degli individui, si reagisca con altrettanta intolleranza, rabbia, persino inneggiando ad atti violenti, quasi in modo naturale, senza rendersi conto che in questo modo la critica si sposta sullo stesso livello dell’inciviltà condannata. Il disprezzo viene facilmente alimentato fino all'odio.
Gli stermini di massa sono la versione macro delle trappole d'intolleranza osservate ogni giorno in piccola scala nelle nostre case, nelle scuole, nelle fabbriche, negli stadi, nella guida, nei social network.
Nel bisogno del “capro espiatorio” per alleggerire frustrazioni individuali e sociali.
Ognuno di noi può essere responsabile, quando le condizioni sociali, storiche, economiche predispongono al genocidio.
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