Il mio regalo
Giovanni Sicuranza
Oggi è la Festa del Papà.
Auguri, gli ho detto.
Mio papà è un ottantenne spezzato. Un prosciugato nel deserto encefalico. Arido di lacrime tra le ferite della materia grigia.
Però oggi ha capito.
Dalla carrozzina, lungo la ghiaia che dalla casa di riposo si inabissa al cimitero, la sua bocca si è aperta.
Grazie, mi ha detto senza suono, con il sorriso di un bambino sdentato.
Io ho annuito e mi sono sentito meglio. Nulla vorrei terminare contro la sua volontà.
Così le sue mani sfiorano il pacco di cartone, accarezzano il nastro. E nessuno nota il vecchio sulla sedia a rotelle, mentre scivola con il figlio dall'uscita di "Villa Soave".
Il mio regalo è una scatola rettangolare, marrone, chiusa da seta nera. Ha un nodo, semplice, ma non al centro. L'ho spostato verso un'estremità.
Mio papà sa cosa significa e ancora sorride, sorride, anche quando lo porto tra le penombre del cimitero.
La scatola si sbilancia nella fragilità della sua presa, ma non cade.
Entriamo tra le memorie delle lapidi.
E' rettangolare, la scatola. Marrone.
E il nastro è nero. Disposto a croce.
Mi siedo su una panchina isolata. Mio padre, accanto, ha la bocca ancora aperta di felicità.
La scatola che regge è vuota.
E' il regalo dell'ultima attesa.
Non so quanto ci vorrà, ma non importa.
Ci guardiamo, intensi, mentre le mie dita abbracciano il suo collo.
E' come se tra noi l'amore ricominciasse.
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