Eleonora e un corvo
Giovanni Sicuranza
Conosce il suono del sangue, eppure ancora non riesce a descriverlo.
La donna lo osserva, occhi da corvo puntati nei sui, la mano protesa su un tavolo di fragili appunti.
La mano che è fonte ispiratrice.
Lui cerca di renderla unico particolare, avvicina i sensi sulla ferita del palmo e nel mentre si rende conto del tempo passato.
- Non posso, Eleonora. No.
- Devi farlo. Non scrivi da giorni.
- Com'è stanca la tua ferita. E la tua voce. Usa la tovaglia, comprimi il sangue.
Lei appassisce lo sguardo. Un sospiro. La mano ferita che rimane sospesa nel vuoto, a piovere sangue sul tavolo, sugli appunti scarabocchiati senza conclusioni.
- Ti prego, farei qualunque cosa per vederti felice.
L'uomo si alza dalla sedia.
Attraverso la finestra, Eleonora è un riflesso nero filtrato dall'imbrunire. I lunghi capelli corvini si aprono come ali in un petalo di cielo grigio.
Lui apre la bocca, la chiude. Guarda Eleonora, che scivola verso la porta della cantina, in compagnia del gatto, ma subito, come preso da una stretta poderosa, il suo volto ha uno scatto sulla finestra.
Il vento si accanisce sul vetro macchiato, come nel tentativo di liberare la piccola casa dalla miseria.
Un sibilo dal ritmo insistente, che bussa proprio dove un'ombra nera di Eleonora è rimasta fissata come.
La fronte dell'uomo si espande in un rughe di stupore.
- Eleonora, tesoro - mormora.
Si lascia andare sulla sedia, nel gemito sofferto del legno, giusto in tempo per sporgersi e vedere la moglie che chiude la porta della taverna alle sue spalle.
- Dove vai? Ferma il sangue.
- Sì - giunge l'eco di lei, ectoplasma privo di densità.
- Credo di sapere come aiutarti, mio caro - una pausa. Il gatto sguscia silenzioso nella taverna.
L'uomo si sporge ancora e con il polsino urta il calamaio. Una macchia d'inchiostro si allarga sulla tovaglia e si ferma sulla forma di un uccello. Nero.
Lui ne rimane assorbito.
Sente appena la moglie chiedere dove ha lasciato il piccone e i mattoni, ma non ha più parole per lei.
Non sa che rivedrà ancora Eleonora, ma mai più come donna reale.
Ora è ammaliato dall'ispirazione.
Egdar Allan Poe trascina a sé una carta macchiata dal sangue della moglie e, con il pennino, diventa incubo gotico sui primi versi:
"Mentre, debole e stanco, verso la mezzanotte
scorrea d’antico libro pagine strane e dotte
sonnecchiando, ad un tratto come un picchio ascoltai,
un lieve, un gentil picchio de la mia stanza all’uscio.
- E` qualcuno che picchia de la mia stanza all’uscio,
e non altro, – pensai"
Commenti