Calamarium
Giovanni Sicuranza
Devo scrivere e non vedere.
Masticare le pagine con il dente del calamo, incidere ferite di parole.
Veloce per non vedere.
Ieri l'inverno è entrato nel nostro giaciglio.
Pregavamo di tenerlo lontano, anche se le famiglie sono nude al suo arrivo.
E ieri.
No, scrivo, scrivo. Che almeno serva la mia arte.
Mariano me lo ha detto, sei l'unico che sa fare di calamo, che tu sia testimonianza, che tu sia come Verbo del Signore, ha sussurrato.
Non ricordo dov'è seppellito il prete, però queste sono state le ultime parole. Dentro la mia fede.
Parlava piano, la gola gonfia di pustole nere.
Sono le ancelle del Signore, ci ha detto il prete.
Scure di rabbia, giungono sulle gobbe bianche dell'inverno per punirci.
Non abbiamo capito di quale peccato, nemmeno il prete lo sapeva, ma deve essere enorme, perché tutti, intorno, sono caduti sul peso delle pustole.
Anche mia moglie, ieri. L'inverno l'ha gelata nel dolore e nel sangue. Senza la benedizione del prete e ora temo per la sua anima.
Così scrivo. Scrivo e scrivo.
Non ti seppellisco, donna mia, scrivo.
Padre Mariano ha detto che le mie parole sono testimonianza e io credo.
Per questo ti salvo, qui, il tuo corpo gonfio sulle mie ginocchia.
Immergo il calamo nel ventre tuo, gravido di morte, e con te io scrivo.
Che tu sia Verbo, scrivo. Che tu sia Anima redenta.
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