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Il vuoto dello scrittore

Il vuoto dello scrittore

Giovanni Sicuranza

- Buonasera, signor Caio. 
Il piede inclinato verso il parquet, in fase di atterraggio, si blocca.
Una mano sul petto, l'altra sulla cima della lunga testa, il signor Caio diventa statua di stupore sull'uscio di casa. 
- Un dipinto di Goya, direi. 
La signora Tizia Fuoricampo ha sempre parole d'affetto per il marito.
Se ne sta in cucina, un grandangolo di adipe, assediata da lame e umori di cipolle e aceto. 
- Meglio del vino, no?
Mentre la introduco, senza nemmeno darmi tempo di descriverla, mi fissa. 
- Come in un Tondo Doni di Michelangelo? - aggiunge con lo sputo di una risata. 
Ha proprio la voce di un personaggio di racconti, la signora Fuoricampo. 
Che non è quella che vi narra l'autore, bassa, tenue, scura, o melodiosa. 
Balle, smettetela di crederci. 
La voce di un personaggio è quella che ogni lettore sente. 
- Andiamo avanti? Mio marito è ancora sull'uscio.
Non è vero. Cambio angolazione della pagina e non lo trovo più. 
La porta è chiusa, lo sembra da anni. Legno colore polvere, ragnatele annoiate lungo gli stipiti. 
Eppure un altro particolare mi stupisce. 
Nello specchio di fronte all'ingresso, il signor Caio ha lasciato il suo riflesso.
- Dimentica sempre qualcosa. Anche di essere il protagonista di una storia. 
Sento ancora la voce di Tizia. Non so a voi, ma a me sembra lama tagliente. 
Mi avvicino allo specchio. 
Un lago di vetro. L'assenza di cornice da l'impressione di acqua che trabocca, priva di rivoli. 
L'immagine del signor Caio ondeggia, alta, lenta.
Come a inizio scena, immobile di stupore per essersi scoperta nel racconto.
- Non era male l'idea, su. Uno sketch rapido. Ma, se lo lasci dire, tende a perdersi nella narrazione. 
Vedo il rallentatore della mia mano allungarsi verso la superficie dello specchio. 
La voce di Tizia mi raggiunge. Non so come arriva a voi, ma adesso è un rantolo.
- Mio marito entra, io lo saluto, lui mi saluta. Bel quadretto familiare, grazie. 
La mia mano inizia a vibrare. Il riflesso mi ignora, guarda verso la cucina. Guarda la voce. 
- Poi avrebbe descritto mio marito mentre si toglie il cappotto. Ah, del cappotto avrebbe aggiunto "colore carne". Lei è un furbetto, vero? 
Il riflesso del signor Caio fa un passo verso il bordo dello specchio. 
Ritraggo la mano, morsa dalla paura, e l'immagine è svanita, rapida. 
- Svestirsi lo avrebbe lasciato tutto muscoli e tendini, no? 
Lo specchio è cambiato. Adesso è un lago morto, privo di immagini. 
E' la sclera di un cadavere. 
- Ecco il colpo di scena. Mio marito, come niente fosse, si toglie la pelle e mi viene incontro, baciandomi con i muscoli buccali in esposizione. Fine. Applausi. 
Non so per voi, ma ora la voce è un sussurro.
- Solo che si è distratto, insomma, si è dilungato su di me, sulla moglie Fuoricampo. Lusingata, non creda, ma così ha dissolto la scena madre. 
Mi volto verso la cucina e so già che è inutile. 
- Il riflesso della trama è rimasto per un po', fragile. 
Ora sono io, l'immobile.
- Ha perso la storia, i personaggi. Addio, signor Sicuranza.
Mi giro, veloce, la cucina, veloce, la porta, veloce, lo specchio, veloce veloce. 
Sono solo. 
Solo nella pagina. Colore bianco sudario.

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