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Bic


Bic
Giovanni Sicuranza

Bic era attratta da ogni tipo di biro. 
In cinque anni, tra le sue mani sono scomparse metropoli di penne a sfera. Numeri enormi, flussi migratori dal tabaccaio sotto casa alla scrivania di mio padre, lo scrittore.
Ma non sono qui per lui, per la sua tomba. Non ora.
In questo imbrunire, di riflessi bianchi e freddi, sul campo cimiteriale innevato, siedo sulla tomba di Bic. 
Mia sorella. 
Cinque anni di vita, due anni di morte. 
Le ho portato una nuova biro. Cappuccio blu semplice e corpo vitreo, che svela il colore venoso dell'inchiostro. 
- Ciao. 
La spingo nel vaso colmo. Cappucci sporgenti di rosso e nero, blu e verde, come una composizione floreale. Ma il colore non ha importanza. A Bic piacevano tutte le penne a sfera. Tutte. Un delirio per mio padre, che non è mai riuscito a terminare un romanzo. Che diceva che era colpa di Bic e della sua biromania. 
Sto di nuovo tornando a lui, scusa, Bic.
Anche mia sorella scriveva, righe incomprensibili per noi. Già a tre anni, lei sfogliava le linee nere e leggeva "Oggi sono andata con la mamma". Convinta. Non interpretava a caso, perché il giorno dopo le mostravamo la stessa nera astrazione e ripeteva "Oggi sono andata con la mamma". Convinta. 
Tracciati blu erano la fiaba di "Barbablu", precisa, come la recitava papà, e quando le linee rosse saltavano sopra gli altri colori, la fiaba diventava un canto, il canto un elenco della spesa, che tornava fiaba.
Oggi Bic compie sette anni. I suoi liquami, le sue piccola ossa sono in festa. Per questo le ho portato una nuova biro. 
- Auguri, sorella - sussurro alla foto sulla lapide. 
Bic mi sorride con il viso di una bimba di cinque anni, come farà per i prossimi decenni. 
Ho occhi neri, labbra rosse. Capelli blu. E sorride, no, anzi, ride. Il giorno più bello della sua vita, l'attimo prima di morire. 
"Se mi chiamate Bic, perché non scrivo?", chiese a pranzo. 
Mamma e papà si guardarono, vuoti di parole, la perplessità stesa sul tavolo, accanto alle brioches e al latte e alla marmellata. 
Poi papà la uccise. Le sfiorò una guancia. 
"Se ti impegni, presto riuscirai a scrivere". 
Sulla mano comparvero briciole di colazione. Le ricordo bene, le vedo ancora oggi, semini gialli tra zolle di peli. 
La frase distratta di mio padre fu rivelazione. 
Bic si alzò da tavola e iniziò. 
Aprì tutte le penne e, credetemi, erano decine e decine e decine. Staccò ogni sfera dal tubicino e, 
mentre mio padre diceva a mia madre
"Fu Calvino a chiamare biro la penna a sfera", 
mentre mia madre alzava le spalle, 
bevve il suo primo inchiostro. 
Mentre mio padre insisteva
"Lo fece in onore dell'inventore, Birò", 
ingoiò il secondo. 
Mentre mia madre sparecchiava la tavola, mandò giù il terzo e il quarto e il quinto. 
Non vomitò e non sappiamo perché. 
Cioè, i medici non hanno saputo spiegarci. 
Ma ci hanno svelato un particolare. 
Quando il medico legale ha aperto Bic, non gli sono bastati sei rotoli di "assorbitutto" per tamponare l'inchiostro che sgorgava. 
Blu e rosso, nero e verde addominali. 
Mia sorella diventò una penna a sfera e nessuno di noi vide la trasformazione. 
Mio padre era nel suo studio a lagnarsi. Non trovava più le bic e il suo romanzo fremeva di attese.
Per non sentirne le angosce creative, mia madre uscì a fare la spesa, o a incontrare il suo secondo marito, all'epoca primo amante. O entrambe le cose.
Io cercai di seguirla, ma, come sempre, mi persi dopo pochi chilometri, così mi consolai alla postazione internet dell'università. Contattai una certa Mirella, studentessa fuori corso di Filosofia, riuscii persino a farmi dare il suo numero. 
E' morta sette mesi fa, Mirella, e con lei molte speranze. Il giorno prima era diventata mia moglie. 
Scusa, Bic, divago. 
Forse per non ricordare che fui io a trovarti, all'ora di cena. 
A trovare il tuo corpo trasformato in refill. 
Meglio se mi alzo, adesso il tuo marmo è troppo freddo. 
E poi credo tu preferisca rimanere sola. 
- Divertiti. 
Mi allontano, lento, tra scriocchiolii di neve a graffiare silenzi di cimitero. 
Una mano nel rifugio buio della tasca, l'altra lungo il fianco, stretta a pugno. 
Chiusa sulla biro che ho preso dal vaso. 
Ha il cappuccio nero, è consumata. 
La settimana prima ho portato via un'altra penna, blu, prosciugata. 
Il custode mi saluta con un cenno assente. 
Accenno a un sì con la testa e esco nel parcheggio. 
Chissà che biro userai questi giorni, mi chiedo, mentre osservo l'orizzonte.
Il cielo esita tra rosso e nero.


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