La Befana
(vien di notte con le calze mica rotte)
Giovanni Sicuranza
Sono un sentimentale.
Leggo "Il Resto del Carlino", non per il gusto di capire, ma perché in giardino sono seppelliti i resti del mio cane. Carlino.
Faccio colazione con i biscotti del "Mulino Bianco", anche se sono indifferenza del palato. Tuttavia, nel cimitero del paese, la prima lapide sulla destra recita "Il mugnaio bianco" e, sotto, "1894-1937". Nessun bianco faceva il pane come mio nonno, anche perché non c'erano tanti bianchi tra i ribelli abissini.
Ascolto ogni giorno "Eye in the Sky", di Alan Parson Projet, e non credo sia il suo brano migliore. Però è perfetta sintesi del destino del mio occhio destro, che a mezzanotte di dieci anni fa fece "bop"; un petardo razzo cercò di penetrarmi la tempia, agitando la miccia di fuoco, come coda di uno spermatozoo. L'occhio, ovocita spaventato, non pronto alla fecondazione, saltò in cielo a salutare l'anno nuovo.
Adoro la Befana.
La Befana è donna e lascia la calza.
Io ho la passione delle calze femminili.
Le colleziono dalle mie amanti, adotto quelle abbandonate nei cestini pubblici, libero quelle appese ad asciugare nei cortili.
Il sottile fruscio del nylon, l'odore appena accennato delle intimità di donna.
La Befana è la festa che attendo con l'impazienza di un bambino.
Alle mie amanti, regalo quello che vogliono, ma, per la Befana, tocca a loro.
Autoreggenti appese con nastro rosso al camino.
Ogni autoreggente piena di collant e gambaletti in nylon. Usati.
Sublime.
Attendo la mattina del 6 gennaio con occhi spalancati e luccicanti. Sono ancora io e sono fanciullo.
Solo che non tutte lo capiscono.
Questo rifiuto.
Spocchiosamente cattivo. Il campionario di calze è parte dei miei soldi e ne hanno a sufficienza per pagarsi il resto dei catologhi.
Questo rifiuto.
Banalmente egoista. Chiedo poco per rendermi felice.
Il giorno della Befana, almeno.
Se fossi il personaggio di un racconto di Giovanni Sicuranza, avrei la giusta soluzione per queste schegge di pietra.
Basterebbe ucciderle, impossessarmi delle loro calze.
Magari amputare i piedi e inserirli come dolci succulenti.
Invece no. Mica è facile nascondere un cadavere all'anno.
E il piede mozzato non è affatto sensuale come in vita.
Tra l'altro, più leggo Giovanni Sicuranza, più mi sembra scrittore mediocre. E' che piaceva a Carlino.
Il mio cane si sdraiava su una pila di libri, di quelli che compravo a schiere nei mercatini, per darmi volume. Non mi hai mai spiegato perché preferivi riposare sulle copertine di Sicuranza, Carlino.
Ho provato a offrire più soldi.
Le risposte erano schianti di mannaia: "Ma smettila, pervertito! Ti rendi conto quanto fa schifo la tua proposta?".
Così ho capito.
Non per cattiveria, non per egoismo.
Peggio.
Non c'erano aneliti di sentimentalismo in loro.
Ho iniziato con le domande.
A Lorenza ho chiesto come mai ha il naso storto.
Poi le ho regalato un bob, rosso, biposto.
Come quello che l'ha schiantata contro l'albero di faggio, nella neve di bambina. Lei viaggiava dietro e si è fermata sulla schiena del fratello. Il fratello ha contratto il cranio nell'albero.
Credo che da allora sia cresciuto un faggio-encefalo, le ho detto.
L'ho sussurrato, piano. La frase lunga come il bob.
E intanto Lorenza piangeva, faceva sì, i capelli lunghi che accarezzavano la silhouette rossa.
La sera dopo, è arrivato il regalo della Befana. E, anche se la festa era già trascorsa, ho gradito.
Funziona sempre. Beh, quasi sempre.
Esistono oggetti, come occhi sospesi nel cielo. Ognuno di loro evoca ricordi incendiari.
Basta scoprirli. E aprirli.
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