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Chi muore si rivede

Chi muore si rivede

Giovanni Sicuranza


Chi non muore si rivede, dicono.

Io, che durante il lavoro vedo anche cadaveri, aggiungo che è una frase limitata.

Questa mattina mi sono sposato. Presto, erano le 07.30.

Dopo mica c'era posto, in Municipio.

Tutti a sposarsi dal Sindaco, adesso. Fa tendenza. Un po' come scrivere su Facebook.

La frase più frequente che sento dire, al bar del Tribunale, brulichio di poliziotte e avvocatesse, è "mi sposo con il Sindaco".

E le altre giù a ridere sul doppio senso. Dico, ogni volta.

Il Sindaco, io, lo conosco bene, care pollastre.

Fisico palestrato, mascella quadrata, occhi penetranti.

Un donnaiolo, lo sanno tutti in paese.

Io, poi, ho visto bene le sue donne.

Stese sul tavolo settorio, in attesa della loro ultima violazione carnale.

Il Sindaco inizia il lavoro prima di me. Apre loro la gola fino a spezzare gli anelli tracheali e laringei.

Le azzanna, capite, le soffoca nel sangue.

Lo so, perché il calco del morso è identico al suo sorriso.

Ogni volta che sorride a una donna.

Incisivi in erezione. Lunghi, appuntiti.

Gli manca un canino, allo stimato Sindaco.

L'ho trovato nella gola della terza vittima.

Il giorno dopo sono andato da lui. Aveva le labbra gonfie.

Gli ho offerto una birra. Al bar del Tribunale. Quella volta nessuna donna ha fatto battute. Lui era a pezzi.

"Mi è caduto un dente, amico mio", mi ha detto con occhi indagatori.

E poi, improvviso, "Lo hai trovato, per caso?".

Alla fine della domanda la sua mano era una morsa sul mio polso. Pulsavo dolore.

Ho aperto la bocca. Gli ho mostrato i miei incisivi, i miei canini. Tutti presenti, tutti levigati nel colore nicotinico.

"Non mi interesso di denti, io".

E come si fa a denunciare l'amico d'infanzia, chi ti ha dato un posto sicuro e ti unirà in nozze con il tuo unico, eterno amore?

Solo che il giorno del matrimonio, alle ore 07.30, ha iniziato a sorridere a mia moglie.

Con i suoi incisivi come peni di alabastro. Con il buco nero al posto del canino.

Lei mi giurava fedeltà e già iniziava a perdersi in quelle fauci.

Alle 07.45, finita la cerimonia, l'ho abbracciato.

Una mano spianata sulla spalla, un'altra serrata sulla siringa.

Sono diabetico, mi porto sempre dietro un paio di ipodermiche per insulinizzarmi in caso di bisogno.

L'ago ha soffiato aria nelle vene. Tanta aria. Tanta morte.

Lui mi ha allontanato, si è messo a sedere sulla poltrona da primo cittadino e, sotto lo sguardo stupito degli invitati, ha chinato la testa.

Credo che avesse capito tutto, credo fosse rassegnato. Credo.

Alle 08.30 ero al bar a brindare con avvocati, poliziotti e magistrati, e gli uscieri hanno fatto irruzione, rapidi e frenetici come un'unità antiterrorismo, mi hanno portato nel Salone delle Cerimonie, ma c'era ben poco da fare.

Embolia polmonare massiva, decesso in luogo di matrimonio.

Mia moglie è salva.

Ma non mi interessa, ora. Ora che sono le 09.30 di un freddo mattino d'obitorio.

Ora, mentre mi accingo a aprire il mio amico d'infanzia e penso che anche chi muore si rivede.
 

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