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Visualizzazione dei post da gennaio, 2012

Fine

Fine Giovanni Sicuranza - E' finita. - Sicuro? - Finita. - Cazzo.  - Te l'avevo detto di non esagerare.  - Cazzo.  - Guarda cosa hai combinato. Guarda.  - E' finita, dici? - Tu cosa ne pensi?  - Non. Mi dispiace.  - Oh, ti dispiace? Guarda cosa le hai fatto, idiota! - Non.   - Nemmeno si riconosce. Non c'è più niente di lei. Tu sei pazzo, in fede mia, sei pazzo. - Aspetta, aspetta. Non esagerare, però. - Cos'è, un'alzata di autostima? L'hai massacrata, amico, massacrata.  - Cazzo.  - Ecco, bravo, continua. E rimani pure lì, a osservarla, tanto non puoi fare altro. Sentirai Don Vito, adesso che arriva.   - Allora è.  - Finita, sì. Don Vito non tollera sbagli, te l'aveva detto. La fiducia la da una volta e la toglie per sempre.  - Mi è sfuggita la mano, giuro.  - Ah, senza dubbio. Sformata, bruciata. E il forno, guarda che strazio, grumi di pasta dappertutto, fuliggine. Una bestemmia nella migliore pizzeria di Valencia.     

Si dice che la neve sia il pianto delle fate.

Si dice che la neve sia il pianto delle fate Giovanni Sicuranza La dita aperte, le dita chiuse. La bocca aperta e subito chiusa. Occhi dai vasti cieli tersi. Non ci sono nubi, oggi. Non nella vita di Annalisa Innevata, che ha partorito senza complicanze. Non tecnicamente, almeno, perché i medici non hanno sentito il dolore crescere in lei e tentare di spaccarla in pezzi di fuoco. Ma questo non è il momento delle urla. Ora, qui, ci sono la bocca, le dita, gli occhi. Nuovi, minuscoli e fragili. C'è lo sciogliersi di un'emozione nuova, che si diffonde in ogni fibra e copre come neve i momenti del dolore. C'è sua figlia, Luna. Ci sono tre ore di vita in evoluzione e tre ore in cui Annalisa si sta trasformando velocemente in madre. - Ciao. Luna gira subito il viso grinzo e rosso verso la voce di lei. Lo sgurado è fisso sulle labbra della mamma, anche se non le vede. Ma per Annalisa non è così. - Tesor
La mia casa Giovanni Sicuranza Io sono la mia casa.  Le fondamenta e le mura.  Sono i rivoli delle crepe, cresciute negli anni, aperte in finestre da lugubri architetti.  Io sono il buio nel silenzio, erto sulle paludi della memoria. Ricordi e emozioni, arredamenti pignorati.  La mia casa è vuota, io sono la mia casa. La carne putrescente, le mie ossa giacenti. Io sono la mia casa, di vita sfrattata.

Nella noia. Nell'attesa.

Sulla battigia

Sulla battigia Giovanni Sicuranza Lungo la costa del cimitero,  ascolto risacche di pace eterna.  Dove le mura lambiscono il sentiero dei caduti, l'erba  è alta marea sui passi dei vivi. I miei sensi, navigatori in piena,  avvolti in un per sempre, che  solo ai sordi significa morte.

Folle

Folle Giovanni Sicuranza La donna delle pulizie è caduta.  Il trauma cranico le ha ucciso un migliaio di sinapsi.  Per il resto, la Cooperativa non ha ancora inviato una sostituta e sono già trascorsi due giorni. Significa quarantotto ore di ipermercato lasciato in balia degli umori di una città.  Significa venerdì e sabato senza che uno straccio sia nemmeno pensiero che sfiora pavimenti, mura, oggetti.  La folla si accalca ovunque, ha propaggini tese una sull'altra.  Si muove compatta e scura, come sciame di cavallette ai venti.  Frenesie variabili di percorsi, rapide lungo il famelico consumismo della sopravvivenza.  Non cerca sconti, questa massa, non è interessata alle offerte.  Le interessa solo entrare e uscire. Sempre più numerosa.   L'uomo legge "Toilette", dall'altra parte del corridoio, la donna fa lo stesso.  Sono terreno immenso, fertile, e non lo sanno.  Abbassano la maniglia quasi in simultanea. Lui libera la lampo dei pantaloni, lei tira collant e

E' un libro!

O fortuna

O Fortuna Giovanni Sicuranza Nello stesso istante in cui inizi la lettura, Grazia Fortunata compie diciotto anni.  Tenterà di festeggiare dopo che avrai smesso, quando sarà già penombra nelle tue memorie.  Uscirà con il suo ragazzo, Ludovico Decresci.  Solo che lui è destinato a morire questa notte.  Grazia Fortunata, invece, ha sete di vita, ma ha già capito di essere finita nel post sbagliato.  Ha appena saputo che di Ludovico entro breve rimarrà solo dolore.  Conosce, man mano che queste frasi ti scorrono dentro, perché è nei tuoi occhi.  Dovresti smettere, per risparmiarle l'abisso della disperazione.  Passa a un vero racconto, cambia pagina.  Non andare avanti, se ci tieni almeno un po' a Grazia Fortunata. Anche solo per compassione.   Lui le cingerà le spalle, sussurrerà che ha in tasca il migliore regalo che ha mai ricevuto e che potrà mai desiderare. E l'attimo dopo sarà inondato di sangue.  L'aneurisma cerebrale sfiaterà, dopo anni di silenzi, sarà alluvione

Grigio memoria

Grigio memoria Giovanni Sicuranza Mi chiedono se conosco la data di oggi.  Li guardo.  Sorrisi lanciati da una parte all’altra della scrivania, ping pong di dilettanti.   Allora, insistono, ci dica.  Quello sulla sinistra fa “tic tic tic” a rimo sincopato tra indice e medio sulla plastica.  Che giorno è. Oggi, intendono.  Lascio perdere la partita di ping pong e vado oltre la finestra.  Nuvole grigio topo circondano il mio sguardo. “Tic tic tic”.  Signor Mnesico, la voce sulla destra, femminile, dolce.  Mi volto.  La dottoressa continua a sorridere. Colpisce perché ha una maschera materna e perché i suoi occhi svelano la maschera. Mi guarda come mia moglie guarderebbe uno scarafaggio in scalata sul lavabo della cucina.  Se avessi una moglie, intendo. E una cucina, intendo.  Il medico al suo fianco ha già rinunciato e osserva la documentazione di una tale Graziella Illusoria, scritto sulla copertina con pennarello a punta larga. Nero. Però non smette di martellare con le dita.  “Tic

Calendule di compleanno

Calendule di compleanno Giovanni Sicuranza Le calendule ai lati del tavolo. E sui punti cardinali del letto. Sulle pianure spioventi del tavolo da cucina, tesoro. E' per il tuo compleanno. Le ho accese. Tutte. Ogni calendula per un anno di vita. Ogni fiamma per la nostra promessa di morte. Abbracciami, tesoro, non piangere. Mamma è morta, papà è morto. Il nonno non li ha visti, te lo giuro. Non avere paura, ora. Guarda quante calendule per il tuo compleanno. Ho bruciato anche la patente, sai. Nonno non guiderà più, non investirà altre mamme. Niente papà sotto le ruote. Quanti anni hai, nipote mia? Sono giuste le calendule? Sai, con la mamma, da piccola, ci divertivamo a dire "calendula", invece di "candela". Questo fuoco è nato così. Dal nostro gioco, ora vero. Ovunque. Tra poco nulla ci farà più soffrire, amore mio. Nonno te lo promette.  

Chi muore si rivede

Chi muore si rivede Giovanni Sicuranza Chi non muore si rivede, dicono. Io, che durante il lavoro vedo anche cadaveri, aggiungo che è una frase limitata. Questa mattina mi sono sposato. Presto, erano le 07.30. Dopo mica c'era posto, in Municipio. Tutti a sposarsi dal Sindaco, adesso. Fa tendenza. Un po' come scrivere su Facebook. La frase più frequente che sento dire, al bar del Tribunale, brulichio di poliziotte e avvocatesse, è "mi sposo con il Sindaco". E le altre giù a ridere sul doppio senso. Dico, ogni volta. Il Sindaco, io, lo conosco bene, care pollastre. Fisico palestrato, mascella quadrata, occhi penetranti. Un donnaiolo, lo sanno tutti in paese. Io, poi, ho visto bene le sue donne. Stese sul tavolo settorio, in attesa della loro ultima violazione carnale. Il Sindaco inizia il lavoro prima di me. Apre loro la gola fino a spezzare gli anelli tracheali e laringei. Le azzanna, capite, le soffoca nel sangue. Lo so, perché il calco del morso è id

Agli invernati sensi

Agli invernati sensi Giovanni Sicuranza Non vedo altra architettura, non micenea, o medievale, a paragone della sinuosità dei suoi piedi. Futurismo che scala il corpo. Gotico piacere nel buio dei tabù.  

"I romanzi di Giovanni Sicuranza" - pagina facebook

Bum!

A quel paese

A quel paese Giovanni Sicuranza - Ma vai a quel paese! Tutto, intorno, si ferma.  Immagino molecole di carbonio e ossigeno che si guardano, attonite, neutrini che incespicano uno sull'altro, distratti dal mio urlo.  Che annulla il tempo.  Potente. Selvaggio.  Lei mi guarda.  Forse ha perso qualche capello, forse anche qualche generazione di vita, nei tre anni in cui abbiamo convissuto.  Casa nostra è il defunto lascito dei miei genitori. È la bara dell’amore.  Nella stanza da letto mio padre uccideva di urla mia madre. Nella cucina, macerie di piatti e bicchieri erano l’archeologia di una coppia a pezzi.  Sono morti insieme, i miei, un affronto.  Il loro ultimo sguardo, gonfio di ira, deve essere andato al taxista che si permetteva di investirli in contemporanea.  Il cadavere di mia madre, quello di padre, accasciati uno sull’altro, nell’unico abbraccio che io ricordi. Avevo ventidue anni e vivevo sempre qualche passo dietro loro. Anche quel giorno, sulle strisce pedonali.   Mi h