Transumanza
Giovanni Sicuranza
Giovanni Sicuranza
L'autobus è pieno di gomiti e piedi e zaini aggrappati alle schiene come koala di plastica.
- Si sposti, devo scendere!
- Dove va, lei, maleducato! - pausa - Cazzo!
Ecco, mi sembrava.
Scossone, sbuffo di gas, l'autobus riparte.
Volti seri, seriosi, bui, buiosi.
Due gambe tentano di affiancarlo in una corsa in cui è sconsigliato scommettere.
Belle gambe, però, come piacciono a me. Velate, nascoste dentro gli stivali.
Lei alza le mani, forse vuole salutarmi, penso in un refolo di potere.
La mia fronte stringe un'alleanza temporanea con il finestrino unto, il volto si espande nel vetro. In attesa.
Eccola, prende terreno sull'autobus rallentato dal semaforo. E' alla mia altezza, ora, viene proprio verso me. Sorridile, mi dico, proprio quando scarta.
Bam!, cala le mani sulle portiere appena avanti al mio sedile, Bam!, ripete, regalandomi brividi di vibrazioni.
- Stronzo! - si espande di poesia - Potevi anche aspettarmi, no? 'fanculo di un autista!
Stacco la fronte dal finestrino, allibito, in un gemito di ventosa. La mia pelle sudata ha lasciato memorie di sé sul vetro. Forse dovrei preoccuparmi dello scambio reciproco di oleosità.
L'autista è spalla e braccio che sporgono indifferenti dall'abitacolo.
Mi giro e al posto della ragazza, sul marciapiede, c'è una chiazza nera.
Si è dissolta nell'ira?
Non lo saprò mai.
L'autobus prosegue a singhiozzi, con il suo carico ondeggiante e grintoso.
Forse siamo prigionieri, rifletto al finestrino.
Puff, geme l'autobus.
Il finestrino mi mostra i nostri riflessi.
Di noi stessi, concordo.
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