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Polvere di Silenzi - Respiri (II)

Polvere di silenzi– Respiri (II)

Giovanni Sicuranza


La suola è usurata dalla frenesia dell’uomo. Da ore il piede striscia sul pavimento della stanza, stordito,

avanti e indietro, stop, indietro, stop, avanti e indietro, avanti

L’uomo è tormento che tenta di ricordarsi.

Lo specchio dell’armadio non lascia messaggi, solo echi di un letto a baldacchino, di pareti incrostate. E brandelli di tappezzeria.

Il balcone non si apre, anche se la maniglia funziona e gli infissi non hanno segni degenrativi. Non si apre, perché le sue mani non riescono ad afferrare null’altro che aria.

Aria stantia. Aria di morte.

Aria morta.

La suola aderisce al suolo, finalmente ferma, inclinata verso l’interno del corpo, dove la pressione del cammino è stata maggiore.

Non si sente più il fruscio del passo. Silenzio.

L’uomo ha visto dov’è finito l’altro piede.

Il colore nero brillante della scarpa risalta tra le camice bianche del cassetto dischiuso. Scarpa e piede, fino a metà gamba, un capo modello amputazione per l'inverno, calzettone di lana incluso.

Eppure non è tempo per questi particolari, quando il problema principale è capire se si è morti, e, perchè no, come fa un morto ad andarsene in giro per ore, pur confinato nella stanza da letto dell’architetto Massimo Restauro.

Anche questa certezza è in effetti un mistero. Non ricorda di avere mai parlato con l’architetto Restauro, ma sa bene che esiste, che questa è la sua stanza da letto.

Perché lo sa?

Per la prima volta, l’uomo solleva le mani all’altezza del viso e la gratidune lo scioglie in sospiro. A differenza dei piedi, queste sono ancora due.

Due lunghe mani, sottili, integre. Di un rosa troppo acceso, però, quasi rossastro, il che avvalorerebbe l’ipotesi di morte.

***

- Voglio portarmela a casa.

- Ma, architetto, togliere tutta questa tappezzeria ci costerà molto tempo e a lei denaro e poi …

- Poi? Non annaspi, signor Esumato. Non mi aspetto che sia il responsabile della cappella dei Restauro a esitare su certi argomenti.

- Architetto, questa tappezzeria è qui da decenni, vede, è consumata qui, e qui e, ah, ecco … la vede, no?

- Uh, la macchia verde, sì. Umidità.

- Umidità, dice lei? L’ha mai toccata, architetto? È in rilievo. È fredda.

- Uno schizzo di vomito in altorilievo? Ottimo, signor Esumato. Discutibile la scelta dell’artista, certo.

- Eh, lei è un furbo, finge di non capire. Queste parete racchiudono secoli di cadaveri. Ossa marce, carne putrescente, liquidi … Liquidi che filtrano.

- La smetta. E' ben pagato per assecondare i miei desideri, non si permetta di insultare i miei antenati. Voglio che questa tappezzeria sia trasferita nelle migliori condizioni dalla cappella di famiglia alla mia stanza da letto! Ah, signor Esumato.

- Sì signore, dottore, architetto, sì.

- Al più presto.

- Sì.

- Con somma discrezione.

- Sì.

- E sorrida.

- Come comanda.

***

Ora l’uomo ricorda.

Le mani si infiltrano nel cassetto e afferrano il piede reciso sopra la caviglia, ma gli occhi non vedono la lacerazione irregolare lungo il polpaccio. La mente è uscita dalla stanza.

Ne ha visti di cadaveri, ne ha visti giacere nella cappella di famiglia dell’architetto. Duchesse e marchesi e conti Restauro.

Visi immobili e mani giunte a preghiera sul petto. Mani come le sue, di mortale livore.

Corpi senza più libertà, indifesi nel banchetto della morte. Vittime dell’umidità e delle muffe.

Tutti nella stessa posizione, scolpita dai vivi. Figure immobili, nella bara come nei loculi.

Così simili ai disegni sulla tappezzeria.

Lo sguardo dell’uomo ritorna al piede tra le mani.

È come l’altro, scarpa nera, calzone nero appena accennato prima dello strappo. Scommette che lo strappo sarebbe in perfetta simbiosi con il moncherino della gamba, ma verificare sarebbe una perdita di tempo, visto che non saprebbe unirlo al resto del corpo.

E poi sa già che può camminare anche con un piede solo, strisciando tra le pareti della stanza da letto.

La stanza dove è stata sistemata la tappezzeria della cappella, in un’apparente ventata di necrofora nostalgia del professore Massimo Restauro. Il più benestante professionista dell’Arte di tutta la Regione. Dell’Arte e del Narcotraffico.

L’uomo lo sa, sì, lo sa.

***

- Sei nella merda, architetto.

- La prego, la prego, questo è il luogo dove riposano i miei antenati, dove è seppellito mio padre, dove.

- Dove è sicuro nascondere la merce.

- Ma.

- Un altro ma e facciamo in modo che il travestito parli. Così tutti conosceranno i gusti dello stimato architetto Restauro.

- Non c’è nulla da ridere.

- Io rido come quando e dove cazzo mi pare, architetto! Hai promesso di agevolare i nostri canali, se ti avessimo portato voti nella giunta regionale.

- Ma proprio la mia cripta, ecco, mi sembra, insomma, è blasfemo, capite.

- Proprio. I cadaveri sono custodi fidati e i vivi hanno timore di violarli. Devi solo fare una cosa, togliere questa cagata di tappezzeria ammuffita.

- Questa ta … No, aspettate, aspettate, sono raffigurati i miei antenati, anche mio padre.

- Libera i loculi, togli la tappezzeria. Vogliamo libero accesso ai nascondigli.

- E’ un oltraggio, onorevole, la prego.

- I tuoi piagnucolii mi importano quanto questo putridume. Compreso, architetto? Aspettiamo buone nuove tra, ecco, diciamo una settimana esatta.

- Tutta la tappezzeria. E dove la metto, dove, dove.

- Regalala al tuo amante, travestito.

***

L’uomo ha assistito anche a questa scena.

Immobile, silenzioso. Come il cadavere che ha rappresentato.

Si lascia andare sul letto, svuotato in un respiro che può solo immaginare di avere avuto.

Getta il piede amputato in un punto a caso della stanza e con la coda dell’occhio lo vede planare verso le braci del camino.

Allora ha l’idea.

L'incompetente che ha strappato la tappezzeria proprio all’altezza della sua gamba, gli hanno fatto un favore.

Il tessuto di cui è fatto può ancora prendere fuoco.

L’uomo si solleva.

La suola striscia verso il camino.

Il barone Cesare Restauro era un uomo alto e ha dato disposizioni di essere rappresentato sulla tappezzeria della cripta a misura quasi naturale.

Suo figlio Massimo, burino di un’aristocrazia sfaldata, ha almeno mantenuto la promessa.

L’uomo ora ricorda se stesso.

Una figura disegnata sulla tappezzeria infiammabile. Abbastanza lungo da fare da ponte tra il camino acceso e le lenzuola del letto.

Non sa come è uscito nel mondo tridimensionale, ma scoprirlo non importa più.

Gli interessa solo sapere di essere l'immagine di Cesare, stimato in vita e in morte per i saldi principi morali, timoroso della Legge di Dio e degli uomini.

I bagliori delle fiamme si arrampicano sulla parete, lungo la tappezzeria.

Lui li segue fino al disegno della casa. Se rappresenta l’abitazione in cui si trova, se anche il resto è in legno come la stanza da letto, forse l’incendio sarà sufficiente per bruciare tutto.

Il fuoco purifica. Sempre.

La suola si alza appena e si appoggia sul parquet, un passo dopo l’altro, verso il camino.

Un ritmo lento

su e giù e stop

avanti e stop e avanti

È come un respiro sottile, questo passo, pensa.

Un respiro vivo.





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