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Nel buio

Nel buio
Giovanni Sicuranza


-         Hai paura del buio?
Una domanda stupida. Lo sanno tutti, qui a Casalecchio di Reno, che Luciano Oscuri non ha paura del buio.
È terrore puro che scende in sincronismo al secondo con il calare del Sole.
Il Sole è una divinità, per me. E, come tutte le divinità, se ne frega dei suoi fedeli.
Mi lascia solo, nella notte. Al buio.
Senza alcun appiglio.

***

Provate ad avere una relazione con una donna, trovatela quella che vi amerà per più di un mese di convivenza, prima di esplodere in una crisi di nervi.
Tutte le notti io digrigno i molari, i premolari, serro le mandibole, sudo freddo.
Ma quello che fa scappare via tutte sono le mie urla.
Non c’è scampo, non alternativa al finale.
Lei a volte si scusa, imbarazzata, poverina, è come se dovesse toccare a me consolarla. Altre volte, semplicemente, al mio ritorno a casa scopro che ogni traccia della mia compagna “per sempre” è svanita. Nemmeno più la molecola di un odore. Scommetto che si portano via persino gli atomi dei loro respiri.
Abito in un casolare appena fuori dal centro abitato.
Elegante. Vuoto.
Mi hanno cacciato dal condominio. Urlavo.
Sì, l’ho già scritto, eppure non basta. Non rende.
Se ora fosse buio, questa pagina sarebbe lacerata dall’intensità della mia disperazione, i vostri computer, mentre leggete, si amalgamerebbero in una lunga colonna di metallo fuso. Il segno del mio urlo. 
Mi hanno spinto al di fuori del paese. Nessun editto, certo, eppure è come se lo avessero scritto, firmato, timbrato. Una petizione di vicini furiosi. Ho dovuto scivolare via dalla quotidianità.
Entrare anche nel buio della solitudine.

***

-         Hai paura del buio? – ripete, mentre il cielo si spezza in chiazze di nero. Macchie che si allargano sopra, intorno a me, come pozze di sangue malato.
Inizio a piangere.

***

Il mio primo ricordo delle lacrime è nel buio. Chiuso nell’armadio dei miei genitori.
Passavo ore così, in punizione, per qualsiasi cosa avessi fatto, per ogni gesto non avessi fatto. Sempre.
Mio padre mi prendeva per il collo, stringeva fino a farmi quasi perdere i sensi, la vista che diventava nebbia scura. Poi mi ritrovavo nell’armadio.
Mia madre protestò solo una volta, che io ricordi. Avevo cinque anni, o sei. Quando uscii dall’armadio era un fagotto silenzioso dal volto tumefatto. Da allora, ogni giorno, a ogni punizione, non sentì più la voce di mia madre.
Nemmeno il giorno in cui mio padre la uccise.
Tutto come sempre, confinato nel nulla dell’armadio, ad ascoltare rumori che non comprendevo. Solo che quella volta non aprì lui, ma una signora sconosciuta. Indossava la divisa dei Carabinieri e quando mi vide, lo rammento bene, disse “merda” e cercò di coprirmi con il suo corpo.
Troppo tardi per impedirmi di vedere brandelli di mia madre sparsi sul pavimento.

***

-         Sì, hai paura del buio – sorride lei, beffarda.
E io non so come reagire.
Sono mia madre che tace, mia madre fatta a pezzi, torno bambino nell’armadio.
Tutto perché ho dimenticato di pagare la bolletta.
Lei si è presentata a casa al tramonto, la copia della bolletta nelle mani.
Vestita di nero.
- Sarò la tua amante per qualche notte – mi ha sussurrato – Perché tu, vero, hai paura del buio?
Ho compreso tutto in un lampo, perdonatemi se mi aggrappo almeno a questo termine.  
Nonostante l’assurdità, ho saputo chi era e mi sono accasciato sul letto.
Lei si è seduta al mio fianco e ha continuato a ripetermi la domanda.
Anche ora, mentre, intorno, la luce è un cadavere nero di putrefazione, la sento. La sua voce, fredda. Le mani che cercano il mio collo.
- Hai paura del buio – ora è una sentenza.
- Ah, dimenticavo – mormora, mentre uccide il mio respiro – Puoi chiamarmi Enel. 


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