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L'invalido senza autonomia. Senza tutela?

Una breve premessa. 
Non fate l'errore di pensare che l'argomento non vi riguardi. 
Molti di noi, prima o poi, direttamente o indirettamente, per i nostri cari, ci immergeremo nel sistema valutativo dell'invalidità civile. 
In particolare dell'indennità di accompagnamento, che qui tratto. 
A fronte di un aumento considerevole del contenzioso giudiziario (che il più delle volte, almeno per esperienza di chi scrive, si conclude con il ripristino del beneficio negato dalle Commissioni), a fronte di un'informazione carente (o pilotata?) che sottolinea solo il minimo problema dei falsi invalidi, senza menzione di quelli reali, a cui viene negata la tutela, ritengo utile una schematica informazione. 


L’indennità di accompagnamento è concessa nel caso in cui il soggetto non sia in grado di compiere gli atti quotidiani della vita senza assistenza continua e/o di impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore (tale definizione, in un globale contesto delle funzioni della persona, dovrebbe secondo alcuni già essere compresa nella prima).
Per quanto concerne il primo requisito, per atti quotidiani della vita si intendono quelle azioni elementari che espleta quotidianamente un soggetto normale di corrispondente età e che rendono il disabile che non è in grado di compierle bisognevole di assistenza. Si tratta pertanto di assicurarsi autonomamente e sufficientemente quel minimo di funzioni vegetative e di relazione indispensabili per garantire gli atti quotidiani della vita. Atti quotidiani, non lavorativi, rientrando in tale ambito un insieme di azioni elementari e anche relativamente più complesse non legate a funzioni lavorative, finalizzate al soddisfacimento dei quel minimo di esigenze medie di vita rapportabili ad un individuo normale di età corrispondente, e tali da consentire ai soggetti non autosufficienti condizioni esistenziali compatibili con la dignità della persona umana. Pertanto, il complesso di tali funzioni si estrinseca in un insieme di attività individuabili in alcuni atti interdipendenti o complementari (vestizione, nutrizione, igiene personale, espletamento dei bisogni fisiologici, ecc.) nel vivere di ogni giorno.
Queste funzioni risultano compromesse anche da importanti deficit psichici.
In merito al secondo requisito, si consideri che la deambulazione è una funzione complessa che comporta il regolare sviluppo e la sufficienza di apparati e sistemi anatomo-funzionali diversi, che vi partecipano in rapporto all’integrità elle singole parti e alle loro possibilità di coordinamento (sistema osteo-articolare, neuro-muscolare, tendineo, neuropsichiatrico, sensoriale visivo, uditivo, tattile, ecc.). L’impossibilità di deambulazione è da intendersi dunque come impossibilità o incapacità a svolgere la complessa funzione neuro-motoria della deambulazione; non deambulante è pertanto l’invalido che non possiede o ha gravemente alterata tale funzione o non è in grado di controllarla perché affetto da forme neuropsichiche.
Si consideri ancora che la menomazione è intesa come una condizione che ha ripercussioni concrete nell’attività del vivere quotidiano (Activities of Daily Living o ADL), per cui il significato del valore percentuale attribuito all’entità della menomazione viene ad essere meno astratto e convenzionale di quello che comunemente si ritiene: corrisponde cioè ad un giudizio medico di quanto percentualmente quella determinata menomazione incide nella vita quotidiana della persona. Le attività del vivere quotidiano possono essere definite in base alla loro importanza: alcune assumono un significato particolare, quali attività necessarie alla vita stessa, come il mangiare autonomamente, il riuscire a vestirsi da soli, il tenersi puliti quanto basta per evitare malattie, lo spostarsi autonomamente nel proprio territorio.
Si tratta di quegli atti quotidiani della vita, per l’appunto, la cui mancanza è prevista per la concessione dei benefici economici di accompagnamento.
La disabilità è un concetto complesso al cui interno si possono rintracciare tre dimensioni significative:
1. la dimensione delle "funzioni della vita quotidiana", che comprende le attività di cura della persona (lavarsi, vestirsi, fare il bagno o la doccia, mangiare, gestire la terapia, i soldi, etc.);
2. la dimensione "fisica", sostanzialmente relativa alle funzioni della mobilità e della locomozione (camminare, salire le scale, raccogliere oggetti da terra), che nella situazione limite si configura come "confinamento", cioè costrizione permanente dell'individuo in un letto, in una sedia o in una abitazione;
3. la dimensione "comunicativa", che comprende le funzioni della parola, dell’udito e della vista.

La grave erosione di queste capacità non è quantitativa, ma qualitativa.
E non richiede l’impossibilità alla deambulazione, ma anche una grave difficoltà della stessa.
Non richiede la perdita totale, o pressoché totale, nell’autonomia dei gesti quotidiani, ma anche solo che un elemento importante del quotidiano venga smarrito dal complesso patologico, e rende necessaria, continuativa, l’assistenza.
Si vedano alcune sentenze della Cassazione a tale proposito.
L indennità di accompagnamento può essere riconosciuta anche se c è la possibilità di svolgere autonomamente gli atti quotidiani della vita, tipici dell’età, ma la persona non è in grado di uscire e camminare da sola per strada: Cassazione Civile – Sezione Lavoro, Sentenza 8060/2004. Trattasi di una persona in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, come lavarsi, nutrirsi e muoversi autonomamente, seppure a fatica, nella propria abitazione. Il tribunale ha ritenuto rientri nei parametri della "autoinsufficienza", per il diritto all’indennità, la riconosciuta impossibilità della persona di uscire dall’abitazione per provvedere alle proprie necessità. La Suprema corte aderisce a questa interpretazione, confermando che l impossibilità di "autonoma deambulazione", ai sensi dell’articolo 1 della legge 18/1980, ben può identificarsi con l incapacità di uscire di casa senza accompagnamento.
Si tratta di una sentenza importante. Spesso le persone anziane raggiungono un certo livello di autosufficienza domestica, ma restano recluse in casa per l impossibilità di uscire da sole.
Sentenza della Cassazione civile, Sezione lavoro, 11 settembre 2003, n. 13362
La situazione di non autosufficienza, che è alla base del diritto in esame è caratterizzata dalla permanenza (la natura "permanente" dell'aiuto fornito dall'accompagnatore, la natura "quotidiana" degli atti che il soggetto non è in grado di svolgere autonomamente, la natura "continua" del bisogno di assistenza: art. 1 secondo comma lettera "b" della legge 21 novembre 1988, n. 508).
In questo quadro, la quotidianità è la cadenza che l'atto assume, per la propria natura, in quanto (pur eventualmente di breve durata) parte necessaria della vita quotidiana. E la continuità, che è della cadenza quotidiana degli atti, determina (quale propria risonanza) la permanenza del bisogno.
Questa permanenza è la stessa ragione del diritto.
Da ciò discende che, nell'ambito degli atti che il soggetto non sia in grado di compiere, anche un'ampia pluralità di atti, se privi di cadenza quotidiana, non determinano, la non autosufficienza prevista.
E, simmetricamente, anche un solo atto, che abbia cadenza quotidiana, determina la non autosufficienza.
In sintesi, come già sopra spiegato, “basta” che solo alcuni degli atti fondamentali della vita quotidiana vengano erosi in modo tali da richiedere assistenza, “basta” che la deambulazione incontri gravi difficoltà, senza risultare necessariamente “impossibile”, per configurare i presupposti per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento.
Infine, a rimarcare l’importanza di un sensorio psichico integro, o comunque non affetto da grave compromissione funzionale, giunge utile, ai fini del caso di specie, ricordare un’ulteriore Sentenza: la Sentenza numero 1268 del 2005, Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con cui è stato disposto che "l'indennità di accompagnamento, prevista quale misura assistenziale diretta anche a sostenere il nucleo familiare, va riconosciuta a coloro che, pur capaci di compiere materialmente gli atti elementari della vita quotidiana (mangiare, vestirsi, pulirsi), necessitano di accompagnatore perché sono incapaci (in ragione di disturbi della sfera intellettiva e cognitiva, addebitabili a forme avanzate di stati patologici) di rendersi conto della portata dei singoli atti che vanno a compiere e dei modi e dei tempi in cui gli stessi devono essere compiuti".
La necessità di assistenza non è un concetto di quantità, ma di qualità: o c'è o non c'è.
"Difficoltà" a svolgere atti quotidiani non è termine di minore gravità, nel concetto qualitativo di cui sopra, configurandosi i presupposti per il beneficio all'indennità di accompagnamento quando le difficoltà sono tali da richiedere assistenza continuativa. E' questo l'aggettivo chiave: "continuativa".
Ovvero, in una prospettiva assistenziale, che è quella del sostegno ai familiari, il disabile ha "difficoltà" a svolgere alcuni atti della vita, per cui, giorno dopo giorno, in modo continuativo, è richiesta l'assistenza. Per cui basta un solo atto di difficile esecuzione, rientrante tra quelli fondamentali della quotidianità, e che per essere completato richieda l'aiuto del familiare, purché in modo continuativo, per concretizzare i benefici dell'indennità di accompagnamento.
La prospettiva di valutazione è quella dell’assistenza continuativa, e non dei vari gradi di difficoltà. 
Le Sentenze di Cassazione, Sezione Lavoro, sopra citate, si basano su questo concetto, anche quando si riferiscono a disturbi psichici, per cui il soggetto, pur se materialmente in grado di compiere gesti quotidiani, ha bisogno di assistenza. Nel senso di necessità continuativa ad essere spronato per farli.
Ricordo che la Medicina Legale è ponte tra Medicina e Diritto, per cui le Sentenze certo non sono vincolanti, ma nemmeno estranee al nostro sistema valutativo.
Ricordo, ancora, che tali Sentenze si basano a loro volta su Perizie di C.T.U., quindi hanno applicabilità anche in medicina-legale e non "solo" giurisprudenziale.
Ricordo, infine, che tali Sentenze sono dettate dalla criteriologia assistenziale di cui sopra, ovvero dall'assistenza rivolta in primis alla famiglia che deve sostenere il disabile. 

L’assistenza permanente e continua può essere intesa sia:
1) in termini di esecuzione di azioni materiali: quali, a mero titolo esemplificativo, «trasporto ed assistenza» durante gli accessi alla struttura ospedaliera, approvvigionamento di alimenti e farmaci, medicazioni e/o assunzione di terapie, ecc.;
2) in termini di necessità di presenza e sostegno morale, oltre che psicologico, durante le fasi di diagnosi e/o di aggravamento delle condizioni cliniche.
Spesso all’atto della visita da parte della Commissione l’istante viene indicato come «in discrete condizioni generali» e per tale motivo si vede negare il diritto all’indennità di accompagnamento. Ciò nonostante, ad esempio, in caso di malato oncologico “grave” ed anche, in alcuni casi, in stadio terminale, si è in presenza di evidenti e documentati segni delle diverse patologie e della loro stadiazione.
Si impone quindi la necessità di individuare e contestualizzare il concetto di «bisogno di assistenza permanente e continuo» su cui è intervenuta, a più riprese, la Corte di Cassazione.
I giudici di legittimità hanno definito il «bisogno di assistenza permanente e continuo» come l’incapacità di compiere autonomamente le comuni attività del vivere quotidiano, comprendendosi anche le ipotesi in cui la necessità di far ricorso all’aiuto di terzi si manifesti nel corso della giornata ogni volta che sia necessario al soggetto compiere una determinata attività della sua vita quotidiana per la quale non può fare a meno dell’aiuto di terzi, per cui si alternano momenti di attesa qualificabili come di assistenza passiva a momenti di assistenza attiva (si veda Corte di Cassazione con la sentenza n. 5784 dell’11 aprile 2003). Ancora, afferma la Cassazione: “[...] il bisogno di assistenza deve ritenersi ed è permanente e continuo anche se la necessità dell’aiuto di terzi si manifesta periodicamente a distanza di tempo nel corso della giornata” (si veda Corte di Cassazione con la sentenza n. 5784 dell’11 aprile 2003).

Date queste premesse, sia la letteratura specialistica medico-legale che la giurisprudenza sono giunte a ritenere che il diritto all’indennità di accompagnamento, stante il suo scopo, spetta non solo a chi sia totalmente dipendente da terzi in tutte le attività personali, ma anche a chi abbia una riduzione dell’autonomia deambulatoria o personale tale da impedire una sufficiente e dignitosa autonomia di vita.
In tal senso si legga la sentenza n. 8060/2004; nella specie la Corte di Cassazione ha ritenuto rientrare nei parametri dell’auto-insufficienza, per il diritto all’indennità, l’impossibilità della persona di uscire dalla propria abitazione per provvedere alle proprie necessità. Anche la dottrina (cfr. Norelli, Sonati) ritiene che “[...] quando un inabile, in definitiva, non possa muoversi con possibilità concreta di autogestirsi all’interno della propria abitazione come all’esterno [...] deve ammettersi il diritto a fruire dell’assistenza, a nulla rilevando, per il giudizio, aggettivazioni minimalistiche (del tipo “parziale” o “modesto”) riferite alla necessità di aiuto per compiere atti indispensabili, che solo dimostrano un’errata interpretazione della norma nel suo significato letterale e ancor più del fine che la sottende”.

Anche a voler limitare la valutazione al concetto di “vita fisiologica elementare” non si può non considerare che tale concetto inerisce agli “atti quotidiani della vita” che, secondo autorevole dottrina medico-legale, “sono quelli non tanto necessari all’igiene personale, quanto quelli necessari per una sopravvivenza dignitosa, non affidabile alla carità altrui, pena la realizzazione di situazioni pericolose per la vita dell’inabile, per la sua dignità”.
Indispensabile quindi delineare il concetto di “atti indispensabili” ed il “livello” a cui è necessario rifarsi per verificare l’autosufficienza del disabile.
Il “livello” di autosufficienza deve esser individuato in relazione alla “dignità della persona”. Dignità cui si riferisce anche la circolare n. 14 del 28 settembre 1992 del Ministero del Tesoro, laddove, al paragrafo 8, sottoparagrafo 1d), gli atti quotidiani della vita vengono indicati quali “un insieme di azioni elementari ed anche relativamente più complesse non legate a funzioni lavorative [...]”, il cui detrimento vede, nell’istituto giuridico dell’indennità d’accompagnamento, uno strumento atto a “[...] consentire ai soggetti non autosufficienti condizioni esistenziali compatibili con la dignità della persona umana [...]”.

È dunque la “dignitas personael’elemento precipuo tutelato dalla normativa in esame alla quale sempre va fatto riferimento.
In tal senso si è espressa peraltro la giurisprudenza sia di merito che di legittimità (cfr. per tutte Cassazione, sentenza 21 gennaio 2005, n. 1268) sottolineando che qualora anche un solo genere di atti, tuttavia rilevantissimo ai fini della tutela della dignità umana, venga meno per permanente menomazione, insorge nel soggetto minorato il bisogno all’assistenza continuativa e, conseguentemente, il diritto all’indennità di accompagnamento.

In estrema sintesi, in una congrua prospettiva Assistenziale, la domanda ultima da porsi è: nel caso di specie, lasciata sola nella quotidianità, questa persona sarebbe in grado di gestirsi con dignità?


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