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L'alba della verità



L’alba della verità
Giovanni Sicuranza

La prima volta, si era stupita della naturalezza con cui lo aveva fatto.
E mentre saliva di sopra pensava a come sarebbe stata la sua vita, da quel momento in poi.
Senz’altro diversa.
Senz’altro migliore.
Intanto i suoi passi suonavano un ritmo monotono sul parquet delle scale, troppo sussurrato ed incerto per raggiungere quello frenetico del cuore.
Allora si era fermata un istante, tra la tavernetta e il piano terra, dove la luce artificiale più forte non le avrebbe permesso di nascondere almeno in parte i pallidi colori della sua pelle nuda.
Nella penombra della tavernetta aveva conosciuto se stessa ed ora si scopriva desiderosa di ritardare per qualche secondo ancora il ritorno al mondo mascherato che l’attendeva di sopra, il vero luogo buio di una vita piatta, che, al più, può essere illuminato da luci artificiali e fredde.
Al piano terra, il tempo convenzionale le avrebbe ricordato che erano già le cinque del mattino e che tra solo due ore la sveglia avrebbe recitato la sua vuota litania per l’inizio di un nuovo giorno lavorativo.
Fasullo e frenetico.
Con forza, si era aggrappata al corrimano e aveva danzato un mezzo giro su se stessa, verso la penombra della tavernetta.
Poi aveva chiuso gli occhi
l’odore
Senza saperlo, aveva sollevato il capo verso l’alto, i lunghi capelli neri che frusciavano discreti sulle sue natiche
inebriante, colorato
I denti avevano catturato le labbra, stringendole in un abbraccio deciso
come il colore della vita che aveva vestito il suo corpo
I piedi si erano voltati a guardare la tavernetta; uno di loro si era sollevato spostando aria stantia di chiuso e silenzi
colore di sogni che prendono forma e salgono a lei in un lento sussurro
Aveva spalmano le dita delle mani sul petto ansimante, per chiuderle piano sui suoi capezzoli turgidi
ora ci conosci, siamo il tuo respiro il tuo sogno
noi siamo l’inizio
Un velo di lento sudore curioso era uscito allo scoperto dai pori e si era adagito pigro sul ventre
anche nel tuo mondo di apparenza ormai noi ti seguiremo e ti chiameremo
La curva del fondoschiena si era accentua in un ampio sorriso di soddisfazione
ti chiameremo e tu assaporerai di nuovo le vera vita che hai sempre cercato
Aveva lasciato che i piede indugiassero incerti sul precario equilibrio del corpo e che gli occhi si socchiudessero filtrando la luce artificiale del piano terra
ora vai ricorda e vai
In un sussulto di muscoli e tendini infastiditi, si era scossa.
Il collo e la schiena avevano ritrovato il loro equilibrio, mentre le mani cadevano sui  fianchi.
Quindi, Alba era salita al piano terra.
Fuori l’alba del giorno sbadigliava come sempre.
***
- Se vieni più vicino te ne rendi conto –
Carlo aveva sottolineato l’invito con un inarcare del sopracciglio destro. Un gesto tipico che la incuriosiva sempre, spingendola ad osservare la tenacia sudata dei capelli superstiti sulla fronte del collega.
Uno, in particolare, si stagliava più lungo e dritto tra gli altri, nello spasmo di mantenere la sua postazione. Era sempre quello, lo aveva notato da tempo, il più coraggioso. Il più illuso.
Quindi il collega aveva ricominciato lo studio delle lesioni sulle mani dell’uomo, dando per scontato che lei si sarebbe avvicinata, ma Alba indugiava ancora ad osservare a distanza il cadavere di sesso maschile che giaceva sul tavolo settorio.
E ogni tanto dava una rapida occhiata agli appunti scritti sotto dettatura di Carlo
“supino”
“muscolatura normotonica e normotrofica”
“pannicolo adiposo normorappresentato”
- Non sei d’accordo? – aveva incalzato Carlo, con una punta di stupore misto a rimprovero per la scarsa attenzione della collega.
Sobbalzo di Alba.
- Sei distratta oggi, per non parlare delle occhiaie. Dormito poco, egregia? –
Lei aveva annuito e si era avvicina alle mani del cadavere sotto lo sguardo perplesso di Carlo
dai, alza ancora il sopracciglio, fai volare il pelo
aveva pensato rapidamente in uno slancio senza logica.
Le labbra del collega si erano allungate pigre in un sorriso di circostanza.
- Vabbeh, capita, dai. Però finiamo in fretta questo lavoro, così ce ne torniamo a casa – breve pausa complice – Anch’io ieri ho dormito poco, sai, c’era quel thriller in tivvù, quello di Pupi Avati, bello, cavolo, tosto, dovevi vederlo, bello, ma lo hanno dato tardi –
Parole in piena e capelli morti, aveva sussurrato una voce ironica in un angolo dei pensieri di Alba, con l’ultima parola rotolante in tutta la sua mente, amplificata fino alle sue labbra.
- Morto? – Carlo le aveva lanciato un’occhiata ironica – Ma dai, Alba, non mi dire! Io aggiungerei moolto morto. Magari, se lo esaminiamo un po’ più accuratamente, sappiamo anche cosa scrivere al magistrato – pausa ad effetto – Comprì? -
Alba aveva annuito ancora, aggiungendo la recita di uno stanco-studiato-sorriso-di-comprensione, e quindi si era atteggiata ad osservare con dovuta attenzione professionale la mano sinistra del cadavere, che Carlo reggeva all’altezza del suo viso.
- Ecco, ti dicevo, sono ferite da punta e taglio, chiaramente vitali, vedi? –
Alba continuava ad annuire nel suo ruolo complice
mano forte
- Sulle prime tre dita; l’indice è quasi amputato all’altezza dell’articolazione interfalangea prossimale e qui – Carlo aveva fatto compiere un elegante giro di novanta gradi alla mano morta – sul quinto raggio, ferite profonde, con esposizione dell’osso –
unghie curate
Quindi, finalmente libera dalla presa di Carlo, la mano era caduta con un tonfo di solitudine sul tavolo settorio.
Alba la aveva seguita con uno sguardo attento, poi era tornata ad osservare il cadavere dell’uomo, immobile nel silenzioso
freddo
buio
obitorio.
- Allora, si è senza dubbio difeso, prima di essere colpito due volte al collo – ricostruiva assorto Carlo, come parlando a se stesso e non più alla collega – A questo punto lo shock emorragico lo ha fatto crollare a terra –
è un bell’uomo, muscolatura normotonica e normotrofica, mani forte, unghie curate
- e, mentre soffocava nel suo stesso sangue, l’amante della moglie, quel tipo lì che hanno fermato, insomma, ha finito il lavoro sulla donna -
Carlo aveva smesso di parlare, forse anche di respirare, assorto ad ascoltare nel registratore della sua mente quanto ha appena declamato. Poi si era girato verso Alba con una replica del sorriso di plastica.
- Se concordi, come penso, possiamo cominciare con l’esame interno – si era voltato verso gli strumenti taglienti, ordinati e puliti in parata su uno straccio biancastro steso accanto al cadavere – Comincio io ad aprire –
Aveva preso il grosso coltello panciuto e subito si era fermato, come in attesa di essere fotografato nel gesto di iniziare il taglio mento-pubico sul cadavere.
Alba aveva cosa compreso si aspettava da lei e con le mani guantate si era affretta a tenere ferma l’arcata mandibolare spingendo la base del cranio sul piano del tavolo settorio. Le dita era diventate immediatamente fredde al tocco della pelle morta e le avevano portato un sospiro, mentre brividi sottili esploravano la sua schiena.
Dopo averla fissata per un istante perplesso, Carlo aveva iniziato a praticare il taglio sagittale partendo dalla sinfisi mentoniera.
- Cazzo, egregia, se sei distratta oggi! Poi mi racconti tutto, mi sa che sei rimasta di nuovo tutta la notte in chat, eh? – intanto il coltello scivolava in un fruscio affondando nei tessuti, verso la sinfisi pubica
non tagliargli l’uccello, ti prego!
Alba aveva sbattuto ripetutamente le palpebre, nel tentativo di scacciare quel pensiero urlante nella sua mente, ma
lascialo stare almeno lì, maledetto!
non ci era riuscita e allora aveva distolto lo sguardo dal coltello cercando di smarrire i pensieri tra la folta capigliatura grigia del cadavere.
Il lamento del coltello che incideva l’addome l’aveva seguita e raggiunta dipingendo nella sua mente corpi senza vita di uomini nudi con
muscolatura normotonica e normotrofica, mani forte, unghie curate
A quel punto, Alba aveva chiuso gli occhi nella speranza di non essere notata da Carlo, ma le immagini era diventate ancora più nitide e protendevano le braccia avvicinandosi a lei.
Poi, in un attimo, non solo le braccia, ma tutto di quei cadaveri di sesso maschile era proteso verso di lei, anche lì, anche in basso dove
- Ehi! –
Alba aveva riaperto gli occhi con un sussulto.
Carlo la stava fissando con finta, fluida aria di preoccupazione, che in realtà, lei lo intuiva, sommergeva un senso di gelido fastidio. Il capello era sempre stupidamente dritto sulla fronte imperlata di sudore.
Alba non aveva nemmeno finto di rivolgergli un sorriso di scusa, come avrebbe fatto fino al giorno prima.
Il collega aveva serrato per un istante le labbra, ma subito, ricordatosi del suo ruolo cordiale, lo aveva esibito con tono illuminato.
- Secondo me con quella chat stai un po’ esagerando. Cazzo, dici sempre che questo mondo ti sembra sempre finzione, ipocrisia, che abbiamo tutti delle maschere, che non riesci a trovare nel mondo reale un uomo che sia vero – il grosso coltello panciuto, sazio di frustoli organici e di sangue rappreso, volteggiava silenzioso nella mano con cui Carlo sottolineva ogni parola
non sei ad una recita teatrale, idiota
- Credi che abbiamo tutti delle maschere, e va bene, ma non capisco come puoi pensare di trovare qualcosa di vero in una chat dove tutti fingono di essere interessanti, perfetti, diventano uomini e donne allo stesso tempo. Affascinanti e pronti a interpretare ogni tuo desiderio –
oh, non sai quanto
Il grosso, grasso panciuto coltello si era fermato a mezz’aria.
Carlo le aveva lanciato uno sguardo formalmente illuminato e decisamente stupido.
- Ma io so perché sei diventata medico legale –
Il grasso panciuto coltello anatomico si era tuffato avido nel grasso preperitoneale.
- Ti interessi alla morte per sfuggire da questa vita che credi finta – aveva sentenziato infine il collega, con il tono delle grandi rivelazioni, prima di immergere le mani nei recessi del cadavere.
***
Dall’ultima volta in cui Alba aveva fatto sesso con passione, con trasporto,
e non perché in fondo era ora che lo facesse per non sentirsi una frigida aliena agli occhi degli altri
era trascorso quasi un anno.
Ed era accaduto perché lui era un malato terminale, che, vicino alla morte, aveva cominciato a porsi delle domande.
Ad ascoltare e ad ascoltarsi.
Vicino alla morte diventiamo più veri
le aveva detto con un amaro, vivo sorriso in una notte lenta e leggera.
Dobbiamo ringraziare la  morte quando ci concede il tempo per scoprirci
aveva aggiunto, accarezzandole il viso con mani già fredde, che le avevano regalato un brivido inaspettato lungo l’anima.
***
Da allora Alba aveva guardato alla sua professione di medico legale con nuovo interesse.
Aveva osservato con occhi diversi i cadaveri, soprattutto quelli di sesso maschile, chiedendosi quanta passione abbiano liberato poco prima di morire, dopo una vita trascorsa ad indossare maschere.
E intanto aveva continuato ad andare avanti nella quotidianità, recitando il suo ruolo professionale e sociale. Aveva sorriso quando era opportuno sorridere, aveva annuito quando bisognava annuire, aveva represso i suoi istinti perché bisognava reprimerli.
Senza vita.
Fino alla scoperta della chat.
***
C’era stata una cena sociale di giacche, cravatte, tailleur, di frasi dovute e formali, di sorrisi prefabbricati e di lodi sguscianti.
L’aveva organizzata a casa sua, nel salone pulito, ordinato, convenzionale del piano terra, perché era ora che lo facesse, perché tutti si aspettavano che lo facesse dopo due anni di lavoro nell’Istituto di Medicina Legale.
Dopo che tutti avevano mangiato e riso e criticato e fumato e la casa si era nuovamente svuotata, Alba aveva sentito per la prima volta il bisogno di scendere nell’umida, buia tavernetta per allontanarsi dall’odore stantio delle facciate.
Aveva agito d’istinto, portando con sé il computer portatile per terminare una ricerca sui metaboliti urinari dei cannabinoidi, e così, cercando nel mondo ricco e sfumato di internet, avvolta dalle mura assopite della tavernetta, sul lungo tavolo abbandonato di vera quercia massiccia, un dito tremante di stanchezza le aveva fatto sbagliare a digitare un indirizzo web
solo una lettera al posto di un'altra
e si era smarrita tra le pieghe invitanti di una chat.
Un mondo sconosciuto.
Un altro mondo.
***
Il primo appuntamento era stato con un ingegnere che aveva viaggiato per affari ovunque, fino a quando non aveva scoperto di essere stato scelto da una malattia che discreta, ma decisa, lo avrebbe accompagnato e consumato nei suoi ultimi mesi. Si erano visti due volte, la seconda lui l’aveva baciata, la terza era stata solo un appuntamento non rispettato per la morte prematura di lui.
Ma a quel bacio, Alba aveva provato di nuovo un brivido lungo l’anima, un brivido intenso.
Vero.
E aveva capito.
Così, aveva invitato il secondo uomo conosciuto in chat a bere qualcosa a casa sua,
nella tavernetta.
In quella occasione era rinata.
***
Quindi, nuova conoscenza, nuovo appuntamento.
Sono io il suo terzo incontro da chat.
A casa sua.
Di nuovo nella tavernetta.
Al momento, sono ancora intontito per la sostanza che mi ha messo nel vino, ma alcune cose le so bene.
Intanto, fa’ freddo nella tavernetta, ed è buio.
Ma questo, credetemi, è l’ultimo dei miei pensieri.
In ogni caso, non avrei avuto molto tempo per i pensieri, perché con il tumore diffuso dai polmoni a ogni dove del corpo, non mi sarebbero rimasti più di cinque, forse sei mesi di vita.
E comunque ammetto che ora anche il tumore non è il problema più importante per me.
Sono legato mani e piedi sul tavolo di quercia. Nudo.
Alba si è seduta al mio fianco, mi ha accarezzato i capelli a lungo con sguardo dolce, direi quasi rapito, e sorridendo mi ha raccontato tutto ciò che già sapete.
Mi ha spiegato che ora è diversa.
Mi ha detto che ora sa quello che vuole, perché ha scoperto finalmente dove si nascondo le persone oltre le maschere.
Mi ha svelato che ora sa anche come conoscerle.
Il tutto con tono pacato, tranquillo.
La prima volta, quando è rinata, ha fatto l’amore proprio nel buio della tavernetta.
Io sono il secondo uomo che porta qui.
Altro particolare che ho compreso, la nostra non sarà una di quelle storie che durano a lungo. Così come ho capito che dopo di me verranno altri.
Del resto, anche il suo concetto di “fare l’amore” con me, come ha fatto con l’altro, non è che sia molto chiaro nella mia mente.
Ma tanto, spiegazioni non posso chiederne, perché la droga mi ha paralizzato la lingua, e così continuo ad ascoltare Alba confidarsi con tono sereno, rivelarmi, ancora una volta, che il vero sentimento, il vero vivere, oltre le maschere e le apparenze, si scopre nell’uomo solo quando sta morendo.
Intanto, la osservo prendere i ferri del mestiere con delicatezza, quasi accarezzandoli tra le mani.
Poi, mentre il mio cuore scalcia impazzito, si avvicina e mi guarda con occhi pieni di desiderio.
Di vita. 


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