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Vibracall

Vibracall
Giovanni Sicuranza

Una scavatrice.
Nella mente di Lorenza si materializza un sordo senso di fastidio. L'attimo dopo, nel fastidio si apre la ferita della violazione della propria intimità.
La vibrazione è appena accennata, quasi un refolo grugnante nelle orecchie, ma insiste, insiste, profanando il silenzio del cimitero. Di più, la sua preghiera sulla tomba del marito.

Le ginocchia di Lorenza, umide, si innalzano, portando sui collant scuri clandestini di terriccio e un piccolo sasso rettangolare, bianco, simile a una lapide.

Dove sei, sbotta Lorenza, in piedi, scrutando l'orizzonte. Non è una domanda, ma la seccatura di essere privata del dialogo con Gianfilippo.

Gianfilippo parlava sempre, era un lessico mutevole di volumi senza fine. Anche con la moglie, lei in silenzio, ad ascoltarlo, a perdersi nelle parole, lui a costruirle intorno mura e case e metropoli di frasi.

Quando è morto stava parlando, in un funambolismo commovente di retorica, durante il discorso per il matrimonio del figlio. Si era accasciato sulla tavola, il viso nel salmì, e, prima che il cuore smettesse di battere spezzato dall'infarto, aveva ancora gorgogliato.
Parole incomprensibili, al gusto di carne.
Eppure Lorenza aveva creduto di capirle.
Troppo assurde, rimosse già mentre il personale del 118 constatava il decesso, trasformando il matrimonio in un ibrido sospeso nella morte. Ma pronte a tornare, per essere cacciate via, e tornare, e tornare.

Lorenza si guarda intorno. Forse la scavatrice è nascosta dalla prima cinta del cimitero, perché non vede altro che lapidi e ghiaia e prati ben curati.

La vibrazione insiste, la ferisce. La turba. Come si fa a non considerare un momento di tale raccoglimento, a permettere i lavori in orari di apertura del cimitero?
Lorenza lo chiede anche alla foto sul marmo del marito, quella scelta per l'eternità, e che ritrae Gianfilippo mentre mostra il nuovo modello di cellulare in vendita nella sua catena di telefonia.
Lei e il figlio hanno deciso per questa immagine senza pensarci troppo.

 Gianfilippo amava il suo lavoro, parlava spesso dei suoi cellulari e con i suoi cellulari. Molte lunghe conversazioni a senso unico, Lorenza le aveva ascoltate attraverso uno di questi modelli, mutevoli anno dopo anno, sempre con nuove funzionalità, come oggetti che acquisivano esperienza con il tempo.
Vedi, per questo i cellulari sono come noi. Ogni anno maturano qualcosa, le ripeteva il marito.
E allora eccolo qui, sorridente, gli occhi rotondi di orgoglio, mentre mostra l'ultimo modello della sua vita.
I cellulari avrebbero continuato a cambiare, a maturare, lui sarebbe rimasto per sempre immortalato accanto al compagno della sua generazione.
In effetti, a ben pensarci, la vibrazione
La donna cade in ginocchio come un sacco vuoto. La terra affonda appena sotto il suo peso, avvicinandola alla bara del marito.
Il cellulare di Gianfilippo sta squillando!
Nessuna scavatrice, nessuna violazione di intimità, anzi, l'apoteosi dell'intimità.

E in questa intuizione grondante follia c'è anche lo strappo dell'ansia. Il cellulare di lei è rimasto in macchina. Dimenticato, come sempre.
Lorenza aveva bisogno di vie di fuga dalla logorrea del marito. Lasciare il telefono lontano, irraggiungibile anche se solo per pochi minuti, era il modo migliore per respirare un po' di se stessa,  nonostante i rimproveri di lui sul tema "non mi vuoi sentire, perché puoi fare a meno di me", con variabili sul tema, inclusi sospetti su amanti assortiti, il collega, il macellaio, addirittura il giovane amico del figlio.

Il suono della vibrazione non smette, come fusa di un gatto sofferente. Lorenza allunga una mano verso la foto della lapide, lì, dove Gianfilippo solleva in alto l'ultimo modello di cellulare, nemmeno  fosse un padre che mostra alla luna il figlio appena nato.
Le dita fendono l'aria cimiteriale, tremanti, come a vincere un ostacolo vischioso, il senso di paura avvinghiato a quello dell'assurdo.
Lorenza allunga la mano, un rimorso non sopito che morde la mente.

Deciso era stato il suo rifiuto di seppellire il marito con il cellulare ritratto nella foto, come invece aveva chiesto il figlio.
Deciso è il nome di suo figlio, voluto dal padre in augurio di un carattere rivelatosi invece debole per dirigire la catena della telefonia. Ora tutto è nelle mani della moglie di Deciso, abile anche a vagare tra le lenzuola del padre. Scoperta da Lorenza in pose meravigliose per qualità e nitidezza. Su uno dei vari cellulari di Gianfilippo, ovvio.
E Lorenza aveva ricambiato. Metodica, vendicativa. Lamico del figlio. Solo foto, una serie di immagini che Gianfilippo potesse vedere, infine, nel giorno del matrimonio tra la sua amante e il figlio.
Un attimo prima del discorso, Lorenza aveva allungato il cellulare accanto al piatto in salmì del marito. Lui aveva visto.
Lorenza in calze parigine, lamico di Deciso che le sfiora i piedi con le labbra.
Il dito sottile di lei scorreva veloce sul touch-screen. Lui vedeva.
Lorenza in reggiseno velato, teso sui capezzoli eretti, lamico di Deciso che li stringe tra le mani. Il dito scivolava ancora sullo schermo e ancora e ancora.
Gianfilippo era diventato pallido, lei sorrideva agli invitati.
Una bella giornata.
Gianfilippo si era alzato per augurare vita serena alla sua amante e al figlio. Il momento opportuno per mostrargli lultima fotografia.
Effetto seppia. Peli pubici come cespugli, tra cui spuntavano le dita erette del ragazzo.
Gianfilippo aveva parlato. Gli era riuscito anche nel momento in cui sua moglie si svelava con l'amico del figlio.
Ma probabilmente era già morto prima di iniziare il discorso. Le sue parole si erano alzate sopra il brusio formale degli invitati, avevano disegnato un futuro di fedeltà e nipotini, quindi si erano accartocciate in un rantolo sul precipizio del salmì.

Un refolo pungente è diventato improvviso canto del cimitero. Ha preso possesso della mano di Lorenza e le ha morsicato ogni dito proteso verso la foto della lapide.
La foto da cui proviene il suono. La foto che vibra.
Vai via, le sussurra il vento, mentre il cellulare attende.
Lorenza non può.  Unica tra gli invitati, ha ascoltato le ultime parole del marito, distorte tra bolle di salmì.
Stringe le labbra e con un ultimo sforzo appoggia la mano sulla fotografia della lapide, fino a coprire il volto trionfante di Gianfilippo e con lui il cellulare.
Vibra, vibra davvero.
Lorenza diventa vento, leggera e immateriale. La mente si spezza e cade tra i fiori freschi sulla tomba del marito.
Sconfitta la ragione, non le rimane che attendere, il corpo che si affloscia mentre il respiro diventa più etereo del refolo cimiteriale.
Metti il mio cellulare nella tomba, mettilo sul mio cuore. La sua batteria mi ricaricherà. Quando lo sentirai vibrare, io sarò pronto. Pronto per tornare, tutto questo era riuscito a dire Gianfilippo nel sugo al salmì. Poi le pupille si erano dissolte sotto le palpebre superiori, una bolla marrone era esplosa davanti alle labbra e Lorenza aveva capito che era morto.
Deciso, il figlio tremante, si era già avvicinato, ma era troppo confuso per capire, per vedere.
Lorenza aveva subito estratto il nuovo cellulare dalla tasca del marito. Una delle caratteristiche del modello era la lunga durata della batteria. Una settimana in stand by, due giorni di conversazione.
Quel sarcofago argentato in miniatura doveva sparire, per quanto fosse chiaro che le parole di Gianfilippo fossero il delirio di un morituro.
In ogni caso il telefono le avrebbe ricordato la minaccia.
La borsa di lei sarebbe stato un nascondiglio temporaneo prima di seppellirlo in un qualsiasi bidone dellimmondizia.
Solo che, improvvise, le pupille delluomo erano tornate su di lei. Lorenza era saltata sulla sedia, terrorizzata. Doveva essere stato quello il momento in cui il cellulare era finito sul tavolo, per essere raccolto dal figlio.
Il figlio che per una volta aveva onorato il proprio nome. Aveva disobbedito alla madre e seppellito il nuovo modello di telefono con il padre, credendo così di rendergli omaggio.
Quando tornerò, sarai morta, aveva sibilato Gianfilippo in un residuo di vita.  

Ora il cellulare vibra.
Gianfilippo ha smesso di riposare e torna per portarla nella morte.
Non è vero, ride la mente di Lorenza.
Eppure la ragione ha perso, perché il cellulare, attraverso la foto, vibra.
Vibra come tutta la lapide. Vibra come il cuore di lei che ha perso ordine e significato e sanguina terrore.
Lorenza è un petalo morente sulla tomba del marito.

Pochi minuti dopo uno dei custodi del cimitero la trova.
Una mano serrata sulla foto, il capo reclinato, le gambe sulla terra, scoperte.
Il custode scuote la testa e si china sulla lapide.
Il ronzio della vibrazione è lunica cosa che gli importa. Infila le dita nello spazio angusto tra il retro della foto del defunto e il marmo e sorride quando estrae il suo cellulare, perso durante il giro di ricognizione.
Per trovarlo, lo ha fatto squillare di continuo dal collega, dimenticando di averlo messo in modalità vibro-call.
Smarrirlo sarebbe stata una perdita non da poco.
Così elegante, argenteo, ultrapiatto. Così funzionale, con la carica che dura fino a una settimana in stand-by.
Il modello insuperato della linea di questi cellulari.
Il custode sfiora la modalità foto e sullo schermo compaiono le gambe velate della donna. Sensuali, immobili.
Perfette per lalta qualità delle immagini. Basta un click per inserirle sul suo profilo Facebook. Mica occorre scrivere che sono gambe di una defunta.
Un paio di scatti, lattesa del messaggio che Facebook ha pubblicato le fotografie, quindi luomo si allontana verso il gabbiotto.
Senza fretta, assaporando il silenzio del cimitero, lasciando che il refolo gli accarezzi il volto.
Non occorre sprecare soldi per avvisare i carabinieri della donna morta su una tomba.
Per questo particolare basta il telefono fisso di lavoro.   


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