Passa ai contenuti principali

Dove scorre il fiume. La Donna Nera.


Dove scorre il fiume. La Donna Nera.
Giovanni Sicuranza

Quando torna in superficie, la donna nera ha ancora addosso le oscurità dell’Aposa.
Si è cambiata velocemente, ha dato liofilizzati e integratori al suo bambino, ha di nuovo controllato che l’accesso al nido sia ben protetto dalla griglia, dove il fiume perde slancio, ma non rinuncia all’umidità.
È preoccupata per il piccolo, i pensieri si affollano, si confondono, si perdono e si ritrovano in un modo sempre inaspettato. Domande che trasformano domande.
I primi scalini del sottopassaggio nel quartiere Saragozza hanno una scritta scorrevole, rossa. La donna nera appoggia i piedi sopra, con compiacimento. Un refolo di sorriso, mentre legge i caratteri del neon che scivolano sotto di lei.
“State entrando nel Tempio dell’Aposa”.
Se i Maestri hanno ragione, suo figlio non può morire. Protetto nel luogo dell’acqua, anche in un ambiente umido e in penombra, sotto la città rovente, il fiume lo proteggerà sempre.
“State entrando nel Tempio dell’Aposa”.
La donna si sporge oltre il muro delle scalinate. Nessuno in vista. Il mattino è ancora uno sbadiglio, Bonomia riposa ancora e in ogni caso, prima di uscire, i suoi abitanti sono obbligati a recitare il Credo all’Acqua. Una nenia di venti minuti, come vuole la Legge. 
Una protezione o una condanna?
Il pensiero è un flash che blocca la donna in una fotografia. Un piede sollevato nel passo, una mano ancora sulla balaustra del sottopassaggio, lei alza gli occhi al cielo.
Quante volte, come adesso, vorrebbe tornare indietro, togliere il figlio dal nascondiglio, annunciarlo al mondo. E crescerlo, senza doverlo sacrificare alle acque come invece impone la Legge.
Ma forse, adesso, c’è una soluzione. Basta non svelare proprio tutto.
Il piede si appoggia all’asfalto. Nonostante manchino pochi minuti alle sei, il calore della strada è già una presenza concreta attraverso la suola degli stivali di ordinanza. Alle otto, uscire allo scoperto sarà già proibitivo senza protezione totale.
Ora la donna nera allunga il passo, lo sguardo deciso sul bar di fronte.
La saracinesca è appesa a metà sulla vetrata d’ingresso. L’avvertimento che il locale non è ancora aperto al pubblico. Ma a qualcuno sì.
- Buongiorno – saluta velocemente lei.
La figura in penombra dietro il bancale è intenta a riempire due tazze di citrato fumante e, , nonostante riconosca un ufficiale della Milizia dalla divisa, grugnisce appena, poi, con un gesto rapido di una mano, indica il tavolo in fondo al corridoio.
Una luce fioca abbozza i contorni della persona seduta.
La donna nera si avvicina e, senza attendere l’invito, prende posto di fronte. Il tavolo rotondo è già apparecchiato per due.
- Il citrato ci protegge – inizia la figura in penombra – Integra il nostro corpo e lo idrata per tutta la giornata. Almeno così ci piace pensare – una mano si allunga sul tovagliolo steso davanti alla donna nera – Lo so, lei ne beve tanto, anzi – una pausa, il tono che non nasconde la sferzata dell’ironia – anzi, mia cara, ne beve per due. Le sue richieste settimanali sono raddoppiate, ho letto il rapporto.
La donna nera si muove sulla sedia, ma la figura è pronta a fermarla alzando la mano.
- Stia tranquilla, è una segnalazione e nulla di più. Tanto per toglierle ogni dubbio, non è stato il Maresciallo Cerisoni a farci avere il rapporto.
Darlia annuisce, ma solo perché sa che è quanto si aspetta da lei il Maestro e Giudice Grazia Marasmat. In realtà ha qualche dubbio sull’estraneità di Cerisoni.
Da quando ha nascosto suo figlio nei segreti del fiume sotterraneo, nonostante stia attenta a non lasciarsi sfuggire nulla, nemmeno un’emozione, con i colleghi del Presidio Religioso, ha l’impressione che il suo superiore sospetti qualcosa. Forse solo il vago presentimento che lei nascondi qualcosa. Forse, invece, solo una sua paranoia, il senso di colpa imposto dalla consapevolezza di infrangere una delle Regole Maggiori.
- Tutto a posto, Capitano Darlia? – sussurra il Giudice Marasmat, dopo che il barista ha servito la bevanda in silenzio e si è ritirato nel buio.
Solleva la tazza, sembra esitare, poi la sorseggia.
Darlia non si muove, non parla.
- Stia tranquillo, Capitano. Con me il suo segreto è al sicuro. Doveva solo farmi questo piccolo favore.
- L’ho fatto – sussurra infine lei. E di nuovo tace, la bevanda che rimane a fumare ignorata.
- Deve bere – la esorta il Giudice – Anche per suo figlio.
Darlia annuisce, abbassa gli occhi sulla tazza, ma non la prende.
- Io – inizia.
Il Giudice appoggia la sua tazza sul tavolo in un gesto veloce, impaziente.
- Capitano, qualcosa è andato storto con mio marito?
- No, Maestro, no, anzi, l’ho lasciato accucciato sul pavimento. Il trucco sulla pelle e la foto della Yersinia sono stati sufficienti a sconvolgerlo.
- Quindi ha davvero creduto di essere contagiato e che la peste è tornata, qui, a Bonomia – nel tono pacato del Giudice e Maestro si alza una punta di felicità – Lui, noto infettivologo, si è bevuta questa sciocchezza! Bene, è stato umiliato per il suo tradimento!
Darlia accenna appena con la testa.
La donna delle pulizie si era rivolta infine al Presidio Religioso e proprio Darlia aveva raccolto la sua denuncia. Violazione del patto matrimoniale con un Maestro. Era un reato grave. Quasi come quello di lei, che aveva appena deciso di partorire e nascondere il figlio nella protezione del fiume Aposa.
Così era nata l’idea.
Darlia aveva osato. Invece di procedere all’arresto con pena di castrazione chimica, aveva portato la storia del tradimento del dottor Erasmo Marasmat direttamente alla moglie, nel Tempio Centrale di Bonomia.
Il Maestro e Giudice Grazia Marasmat aveva emesso la sentenza nel privato di questo stesso bar.
“Che mio marito sia umiliato e che lo sia sulla sua immagine professionale”.
“Maestro, lo sarà. Vorrei però che lei intercedesse per un mio peccato”.
E Darlia aveva raccontato del figlio, perché sapeva che, senza protezione, prima o poi qualcuno della Milizia lo avrebbe scoperto. O, peggio, un blasfemo tra quelli che scendevano nei sotterranei del fiume senza autorizzazione.
Il Maestro aveva annuito e il patto era stato sigillato con una bevuta di citrato corretto alla menta.
- Stupido uomo, farsi ingannare da finti bubboni! – soffia Grazia Marasmat. Il fumo che sale dalla sua bevanda è spinto indietro, verso Darlia, come spaventato e stupito da tanta emotività in un Maestro.
- Si ricordi del patto, la prego – osa Darlia.
Il Maestro sorride, o almeno così le sembra nella penombra.
- Mio marito finirà umiliato negli show che tanto adora. Farò in modo che l’annuncio sia dato entro questa sera al Grande Medico. Ed io avrò modo di chiedere al Consiglio non solo la castrazione, ma anche tutti i suoi beni – una mano si allunga lungo il tavolo, il palmo aperto in alto – Mi dia la prova, Capitano, e suo figlio potrà crescere normalmente a Bonomia, senza che nessuna Legge possa sfiorarlo.
Darlia esita un istante, fissando quella mano affusolata, che emerge dalla penombra. Ma sa che non ha scelte, anche se il rischio è alto. Deve fidarsi. Per la vita di suo figlio. E poi i Maestri sono Onestà e Fiducia, come recita il Terzo Verso della Costituzione del Fiume.
Però non è certo l’onestà che ha ispirato il piano del Giudice Marasmat.
- Capitano? – si sente esortare. Darlia ha quasi l’impressione che a parlare sia stata la mano in attesa.
Del resto anche lei, decidendo di tenere il figlio, di evitargli il sacrificio nell’Aposa, ha infranto la Legge. Per cui …
Raggiunge la tasca del giubbotto della Milizia per prendere la micro-camera che ha filmato la scena con il dottor Marasmat, ma, confusa nei dubbi, sbaglia e afferra il quadrante da polso, non ancora indossato. Proprio mentre una luce verde e rossa lo illumina.
Sono le sei e trentadue, informa il quadrante. La chiamata, nei colori dell’emergenza, arriva dal settore sud del quartiere Santo Aposa.
- Cosa succede? – chiede il Maestro, seccato, la mano ancora protesa verso lei.
Darlia attiva la ricezione, curandosi di non essere in viva-voce.
- Comandante della Milizia, pronta all’azione.
- Ciao, Darlia, una seccatura, credo – la raggiunge la voce del Maresciallo Amentore Cerisoni – Sembra un caso di suicido. Un uomo si è gettato dallo studio e …
Darlia sente il resto come in un incubo dove tutto è eco e buio.
- Io sono impegnato nel controllo degli invalidi, questi aumentano sempre di più, non so cosa sta succedendo, perciò … Darlia?
- Capitano? – fa eco il Maestro – Cosa succede?
- Ci sono – risponde lei, senza sapere a chi.
- Devi andare tu, Darlia – prosegue il Maresciallo – Il casino è che sembra si tratti del marito di un Giudice, come se non avessimo già abbastanza problemi.
Come se non avessimo già abbastanza problemi, echeggia Darlia.
- Capitano, cosa succede? – la domanda del Maestro Marasmat è ripetuta senza nascondere fastidio – Mi vuole dare la prova per incastrare mio marito?
- Chi c’è con te? – Cerisoni, cauto.
- Capitano? – il Maestro, impaziente.
- Arrivo – deglutisce Darlia e chiude la comunicazione.
Veloce, lascia la micro-camera sul tavolo e si alza.
- Mi scusi, Maestro e Giudice, un’emergenza. Niente di … – si morde un labbro – ma devo proprio andare. Mi scusi.
Grazia Marasmat si alza a sua volta.
- Il suo comportamento è molto strano, Capitano. Mi dica cosa è successo.
- Devo andare – ripete Darlia, con un inchino rapido – Chiedo umiltà e perdono – aggiunge prima di uscire quasi di corsa dal bar.
Bonomia la accoglie nell’umidità di tutti i giorni. La città arida, senza protezione dai raggi solari, affollata di cemento. La città che deve la vita all’acqua.
Ora Darlia corre.
Non verso la missione, non dove il dottor Erasmo Marasmat, spinto dall’orrore della messinscena, si è tolto la vita, beffando con la morte la vendetta della moglie.  
Corre Darlia perché sa che tutto deve essere fatto in fretta. Salvare suo figlio.
Suo figlio che nel buio umido del sotterraneo, a contatto con i topi neri, ha le linfoghiandole del collo e delle ascelle orribilmente gonfie.
Non sa di cosa si tratta, ma vede suo figlio crescere e con lui i bubboni. Lei non è morta, ma proprio il giorno in cui metteva a punto la farsa con il Maestro, lungo i sotterranei, vicino al nascondiglio, aveva trovato il cadavere di un blasfemo, non autorizzato a scendere nella sacralità del fiume. E da allora, altri due. Tutti con bubboni neri e sangue alla bocca. Darlia li aveva seppelliti nei segreti dell’humus, il più lontano possibile dallo scorrere del fiume.
Probabilmente il microbioma di suo figlio, interagendo con il clima malsano, ha creato davvero una variante della Yersinia Pestis.
Darlia accelera il passo, salta due alla volta gli scalini, mentre scende nei sotterranei. Nessun allarme si attiva al passaggio di un Ufficiale della Milizia Religiosa.  
Se morte deve essere, se il Maestro vorrà vendicare il suicidio del marito svelando il suo segreto di madre, allora che sia lei stessa a iniziare.
Inciderà i bubboni del figlio e compierà l’estremo sacrilegio, versandone il contenuto direttamente nell’Aposa, nella linfa di Bonomia.
Darlia entra nei canali della città, nell’oscurità del fiume.
Ora si sente davvero la Donna Nera.  



  

Commenti

Post popolari in questo blog

Esempio di Relazione medico legale. La Valutazione Multidimensionale dell'Anziano

Tolti i riferimenti nel rispetto della riservatezza (vi piace di più "privacy"?), riporto una mia Relazione scritta in risposta al parere negativo del Consulente Medico d'Ufficio, incaricato da un Giudice del Tribunale del Lavoro di rispondere sulla sussistenza dei requisiti per l'indennità di accompagnamento. Non cominciate a sbadigliare, non è troppo tecnica, forse persino utile per comprendere anche aspetti di interesse sulle autonomia della personza anziana (e non solo). Dott. Giovanni Sicuranza Medico Chirurgo Specialista in Medicina Legale cell.: 338-….. e-mail: giovanni_sicuranza@.... Controdeduzioni medico-legali a Relazione di Consulenza Tecnica d’Ufficio del Professore Libro de’ Libris Causa: Itala NEGATA / INPS RGL n. … Premessa. Nella Relazione Medico Legale di Consulenza Tecnica d’Ufficio, redatta il 15.08.2009 in merito alla causa in epigrafe, il professore Libro de’ Libris, incaricato come CTU dal Giudice del Tribunale

Afasia e disabilità. Tra clinica, riabilitazione, medicina legale.

Premessa. 1. La patologia. Il linguaggio è una capacità esclusiva della specie umana e circa 6000 sono le lingue attualmente parlate in ogni parte del mondo. Espressione del pensiero, il linguaggio è il più complesso sistema di comunicazione che assolve alla funzione della regolazione sociale ed alla elaborazione interna delle conoscenze. Tra i disturbi del linguaggio, le afasie abbracciano una molteplicità di tipologie strettamente collegate ai vari livelli di competenza linguistica compromessi (fonetico, fonemico, semantico, lessicale, sintattico e pragmatico). Gli studi sull’afasia iniziano più di un secolo fa quando l’antropologo francese Pierre Paul Broca (1824-1880) utilizza il metodo anatomo-clinico per descrivere, da un lato, le caratteristiche del disturbo del comportamento e, dall’altro, le peculiarità della patologia che ha danneggiato il sistema nervoso di un suo paziente, passato alla cronaca con il nome di “Tan”, unico suono che riusciva a pronunciare, affetto da afasi

In limine vitae

In limine vitae - Giovanni Sicuranza Sa, Alfonso Vasari, Professore della Cattedra di Medicina Legale di Lavrange, che è terminato il tempo dell'ultima autopsia. Tra le dita bianco lattice, tra polpastrelli con ovali di sangue rubino, nei fruscii di tessuti sfiniti, stringe il muscolo più bello e nobile del suo cadavere. Il cuore della donna è sano, anche dopo la fine, nonostante si stia già trasformando in altro. Tre i bambini, tre le giovani donne, uno l'uomo anziano; sette le vite passate alla morte per gravi politraumatismi da investimento pedonale. Tutte avevano un cuore che avrebbe respirato ancora a lungo.  E' delicato, Vasari, mentre lascia andare il muscolo della ragazza nel piatto della bilancia, nero di memorie, di sangue e di organi. 260 chilogrammi, legge sul display verde, e spunta una voce tra gli appunti. Solo un fremito di esitazione, poi con la biro, segna qualcosa, veloce, sussulti blu notte sulla pagina grigia, che potrebbero essere ortogra