Nel ventre della morte
Giovanni Sicuranza
Caldo. Umido.
Il mio sposo è morto da tre ore. Crede di essere utile, ora, a decomporsi così rapidamente?
La morte nera, così la chiamano, perché è arrivata con i demoni-vampiri, i Turchi neri.
Poi i nemici di Cristo, i giudaici, questi topi che infestano il paese, l’hanno sparsa per annientare la nostra comunità.
Il mio sposo si è lasciato prendere. No, non era un uomo pio, timorato di Dio.
Ogni volta che una maledizione pestilenziale ha colpito la nostra terra, il nostro bestiame, i nostri vicini, egli cadeva, posseduto dalle febbri del Diavolo.
Io, solo io, ho tirato avanti questa terra bruciata e quattro figli instupiditi dal sole e da un padre fiacco nel corpo e nell’anima.
Ora lo guardo. Osservatelo anche voi, prima di portarlo via.
Non ha nemmeno la forza per resistere allo scempio della carne.
Questo mi lascia. Tanfo di morte.
Venderò la casa ai giudei, nemmeno la nostra Chiesa la vuole.
Andrò a chiedere elemosina dai Signori, qualunque pezzo di me vogliano in cambio. Ma forse non dovrò arrivare a tanto. Anche i nostri animali sono morti, ma per donare loro un po’ di carne so come fare.
I nostri figli, marito inutile, almeno mi serviranno ancora una volta.
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