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Perché ci manca una morale civica - Giorgio Fidel

"L' ora che corre è amara, e da più punti di vista (economico, politico, istituzionale). Se questo è vero, una domanda si fa impellente. Posto che presumibilmente la situazione di crisi è destinata ad aggravarsi nel prossimo futuro (e i sacrifici imposti dai recenti provvedimenti governativi si faranno sentire), di quale idealità politica l' Italia potrà disporre per fronteggiare gli eventi e mobilitare il consenso di fondo indispensabile (ciò che Rousseau chiamava volonté générale )? Il punto è delicato e rinvia al problema della fonte dei valori e dei simboli non di questo o quel partito ma dell' intera comunità politica. Appena si riflette un attimo, si deve constatare che tali fonti, legate alla storia del nostro Paese, sono deboli, insidiate da una sorta di ipoteca che ne fa oggetto di frizione e di svuotamento. Dico cose in parte risapute, ma le assemblo a modo mio. Pensando alle fonti simboliche, viene subito in mente che il baricentro tra popolo e Stato democratico è la Costituzione. Va ricordato però che in Italia la Costituzione repubblicana, che ha una vita temporale relativamente breve e un' origine particolare (il compromesso tra i partiti dell' antifascismo) non è priva di controversie circa alcune sue direttive ideali, le quali, nell' agone politico e non solo in esso, vengono giudicate antiliberali, di parte, ispirate a istanze socialistiche (in senso lato). Non per tutti dunque la Costituzione è un' entità al cento per cento di solennità e sufficienza ideale, cui va rispetto e riverenza incondizionate. Viene naturalmente invocata dai capi di Stato e dai partiti ed è presente nella coscienza collettiva; ma non ha un significato emotivo tale da compenetrare la comunità politica nella sua totalità, divenendo un effettivo simbolo unificante. Ma se spostiamo la visuale dalla Costituzione alla stessa comunità politica, come fonte di simboli e valori, incontriamo ancora problemi. È noto che da noi la debolezza delle istituzioni politiche (non autonomia rispetto alla lotta per il potere interpartitica) ha causato scarso senso di appartenenza al noi collettivo, scarso senso cioè di importanza dell' identità nazionale. Questa nella Prima Repubblica era addirittura espunta dal quadro dell' attenzione; e resa evanescente dalla assoluta subordinazione alla politica ideologica (si pensi ai personaggi di don Camillo e Peppone, italianissimi entrambi, ma percepiti e salienti solo come portatori di ideologie antagoniste). Nella Seconda Repubblica, l' ideologia molla la presa e assistiamo a un' azione di impegno e glorificazione (da Ciampi a Napolitano, alla ricorrenza del 150° anniversario dell' Unità d' Italia) specificamente consacrata al tentativo di rivitalizzare l' amor di patria. Tuttavia, mi sembra difficile affermare che il sentimento di appartenenza nazionale sia ora installato nel cuore degli italiani, configurando un sentimento saldo e generalizzato. Abbiamo, con tutte le ambiguità del caso, un partito nordista antinazionale che è al governo del Paese; e fermenti antinazionali proliferano anche nel Sud. In Italia non esiste una spinta all' associazionismo patriottico; né esiste, fuori delle forze armate, il culto della bandiera nazionale (incuria e scarsa visibilità del vessillo); e nemmeno esiste nella vita psichica degli italiani la sensibilità speciale che avverte il significato del pro patria mori (i nostri soldati uccisi in terre lontane), e via dicendo. Insomma: l' essere italiano sembra essere un fatto, non un ideale. Ma se è così, ciò che resta sfuocato è proprio il valore che dovrebbe contenere la Nazione come simbolo di identità etico-politica (non semplicemente culturale, linguistica, di costume). Da qui un' ulteriore considerazione: la problematicità del senso dell' identità nazionale trascina con sé la problematicità della morale civica. La quale consiste in un mix di standard (dalla consapevolezza del bene comune alla fede nel valore della libertà individuale e della conformità alle regole, dalle buone maniere alla ragionevolezza). È una disgrazia per l' Italia che il campo di azione della moralità civica sia ristretto, deformato. Questa moralità, quale ideale regolativo, dovrebbe avere una funzione disciplinatrice della condotta. È banale osservare il contrasto irriducibile in cui si trovano questi standard con certi fatti e vistosi, quelli dei cittadini (l' evasione fiscale, l' indignazione frettolosa dell' antipolitica, la scarsa sensibilità per il tatto e il contegno, lo sfogo dell' ira per futili motivi, l' aggressività del pregiudizio fazioso); e quelli della classe politica (cedimento alla tirannia delle fazioni e degli interessi particolari, gonfiamento della politica occulta, e dunque maneggi, clientelismo, corruzione; appello solo verbale al bene comune, demagogia e manipolazione). Voglia la fortuna che le sfide dell' avvenire non siano troppo severe".

articolo di Giorgio Fidel, tratto dal "Corriere della Sera" di venerdì 26 agosto 2011


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