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Trasgressione e Morte.

Trasgressione e Morte 
di Giovanni Sicuranza

“Il divieto respinge, ma il fascino induce la trasgressione”
[Georges Bataille]

Il vocabolario “Treccani” definisce la “trasgressione” come “atto del trasgredire, dell’andare oltre i limiti consentiti; violazione di una norma, di un ordine, di una legge”. Ancora interessante, per lo scopo di questa riflessione, è l’etimologia del termine. Trasgredire deriva infatti dal latino transgrèdi, “andare di là”.
“Passare oltre”. 
Perché si possa parlare di trasgressione deve esservi una norma, una legge, un’usanza, a difesa della quale sia posto un divieto, anche morale. La forza del divieto si misura attraverso la sanzione che punisce il trasgressore. Sanzione che può avere un peso giuridico, o anche “solo” una condanna morale, sociale. 
L’infrazione del divieto è l’atto destabilizzante della trasgressione, in quanto infrange la consuetudine del “buon vivere” su cui si basa la società. Atto sconvolgente, perché compiuto con deliberata coscienza. 
Georges Bataille (1897 – 1962), forse più di ogni altro filosofo si è occupato di studi sulle dinamiche della trasgressione, soprattutto in quanto atto erosivo dell’ordine creato dalla società, nel momento in cui questa tenta di estromettere la violenza dal quotidiano.  
Ma Bataille, se pure tra i massimi studiosi del fenomeno nella modernità, non è stato certo il primo. 
Si pensi, ad esempio, all'attualità che ancora racchiude il marchese Donatien De Sade (1740 – 1814) nel suo legame con l’erotismo, e ancora più con le forme estreme, che proprio da lui hanno preso il nome (sadismo), anche a scapito di un’attenta analisi della sua attività letteraria. Per De Sade, che pagò con la prigionia per le sue idee, la trasgressione è innanzitutto un atto individuale e alla base c’è il rifiuto di sottomettersi alla norma e alla legge morale del proprio tempo, che l’Autore mette in crisi attraverso un uso volutamente esasperato di immagine cariche di erotismo e violenza. La trasgressione è nelle sue intenzioni positive, non per le singole storie narrate, ma perché, nell’insieme, diventa strumento di ricerca di libertà individuale, che oltrepassa i codici imposti dalla società. Più volte Bataille fa riferimento a De Sade, con un rispetto compreso da pochi, nato dall’analisi oltre la superficialità delle sue opere. La stessa elaborazione di Bataille sul rapporto tra l’imposizione di un limite e il desiderio di oltrepassarlo sembra ricalcare quanto scriveva il marchese a proposito del libertinaggio: “Il modo migliore per rafforzare e moltiplicare i suoi desideri è quello di volergli imporre dei limiti” (“Le 120 giornate di Sodoma”, Danatien Alphonse De Sade, romanzo incompiuto, scritto durante la prigionia nella Bastiglia; collana “Le Fenici – tascabili”). 
Nell’opera di De Sade la trasgressione emerge, come si scriveva, quale atto prepotentemente individuale ed in quanto tale che, circa un secolo dopo, verrà analizzata da Sigmund Freud (1856 – 1939) in “Totem e Tabù” (Bollati Boringhieri, Torino, 1969). Il padre della moderna psicanalisi, tuttavia, è consapevole che, per quanto l’individuo abbia un ruolo centrale, quello della società non può considerarsi secondario, soprattutto quando determinate costrizioni sociali, e religiose, influenzano profondamente la struttura psichica di un soggetto. 
In sostanza, si può ritenere, in una sintesi tra il pensiero di questi e altri personaggi, che, posto di fronte al divieto di una legge (anche solo morale), che non vuole rispettare, l’uomo può sentire il rifiuto come atto legittimo, anche se violento (ad esempio, la rivolta armata). Paradossalmente la sua trasgressione diventa legge e codice morale nell’attimo in cui la si sente dentro, ma, appunto, legge e codice morale individuali, o di piccole collettività, che è destinata a scontrarsi con quelle sociali, di maggiore rilevanza.
Bataille, analizzando l’erotismo come componente della realtà umana, ne evidenzia il carattere destabilizzante e violento, avvicinandolo alla morte: “Fondamentalmente, l’ambito dell’erotismo è anche quello della violazione, della violazione. Ciò che è in gioco, nell’erotismo, è sempre una dissoluzione delle forme costituite. Lo ripeto: di quelle forme di vita sociale, regolare, che fondano l’ordine discontinuo di quelle individualità discontinue che siamo. Tuttavia nell’erotismo, ancor meno che nella riproduzione, la vita discontinua – con buona pace di De Sade – non è condannata a scomparire; è solamente messa in questione” (“L’Erotismo”). 
Bataille integra sia l’erotismo e le sue pulsioni estreme, sia la morte, all’interno di un quadro sociale. 
La società di Bataille, che è soprattutto società fondata sul lavoro, per sopravvivere deve bandire la violenza e altre incontrollabili forme individuali. Per questo elabora i divieti e fonda la morale. 
Continua nella sua opera: “L’origine dell’orgia, della guerra, del sacrificio è la stessa: deriva dall’esistenza di divieti opposti alla libertà della violenza omicida o di quella sessuale. Inevitabilmente, questi divieti hanno determinato il movimento esplosivo della trasgressione”. 
Quale che sia il contesto in cui si produce, l’atto eversivo produce una carica eversiva dirompente, dovuta alla sua indissociabile relazione con il divieto. In questo senso, costituisce il pericolo più grande per la società, in quanto rappresenta un cedimento, o, peggio, un tradimento delle sue strutture difensive. 
Ma occorre analizzare ancora un altro elemento fondamentale del trasgredire. Per citare ancora Bataille, la trasgressione “rimuove il divieto senza tuttavia sopprimerlo”. Non solo, ne ribadisce il valore, proprio perché, superandolo, ne evidenzia a tutti la portata. È dunque, la trasgressione, una presa di coscienza sociale della valenza della regola. 
Questo significa che, quando inserita in un rituale, sociale o religioso (si pensi, ad esempio, a episodi di inciviltà tollerati in modo diverso nel quotidiano o durante una partita di calcio; si pensi, ad esempio, ad episodi di flagellazione o autoflagellazione durante cerimonie evocative di massa), la trasgressione non solo perde il carattere destabilizzante ed eversivo, ma diventa elemento di coesione sociale, contribuendo paradossalmente al mantenimento stesso dell’ordine. Anzi, rafforzandolo proprio nella misura in cui ne acuisce la consapevolezza da parte del popolo.     
Ne discende che, in alcuni casi, forme di destabilizzazione “controllata”, “pilotata”, servono a rendere la società più ordinata.
Tuttavia, oltre la trasgressione che realmente distrugge, con intenzione, oltre quella “razionalizzata” dal potere, esiste una terza e particolare forma di trasgressione, che, pur naturale, sfugge al controllo di chiunque e lascia nel caos la collettività.
Si tratta dell’atto più traumatizzante, ineluttabile, oltraggioso. La morte.
Inoltre, tornando all’origine latina del termine trasgressione, la morte è il più oscuro atto di passaggio da una dimensione a un’altra, per alcuni, o da una dimensione al nulla, per altri.
In ogni caso, la morte conserva della trasgressione, nella misura più intensa possibile, l’aspetto della rottura. 
Scrive Philippe Ariès: “Così come l’atto sessuale, la morte è sempre più considerata che strappa l’uomo dalla sua vita quotidiana, dalla società razionale e dalla monotonia del lavoro, per portarlo al parossismo e scagliarlo quindi in un mondo irrazionale ... La morte è una rottura, come lo era l’atto sessuale per il marchese De Sade” (“Storia della Morte in Occidente”; BUR Biblioteca; 1998). 
Morte e trasgressione attentano all’ordine e oltrepassano il divieto o l’insieme di divieti, che dell’ordine si pongono come garanti. E, si ripete, la trasgressione dei divieti (quando non “pilotata”) è un attentato alla stabilità della società, pericoloso. 
La morte ha un aggravante rispetto alla maggior parte delle trasgressioni: non ci si può difendere e nessuno può sottrarsi. 
La morte è una trasgressione che sfugge al controllo della società e dell’individuo, entrando nel vivere quotidiano in modo lento o imperioso. In ogni individuo, senza distinzione di sesso ed età. 
Ora o domani. 
La morte è una trasgressione che, a differenza delle altre trasgressioni, è ancora più angosciante in quanto non richiede coscienza e volontà di trasgredire da parte di un individuo o di una piccola collettività organizzata, ma (salvo i casi di omicidio) impone se stessa a chiunque. Strappando chiunque alle regole del vivere quotidiano. 
Si può porre un rimedio parziale alla morte, elaborando un complesso sistema rituale, tramite il quale riemergere e ricostruire il proprio universo razionale e sociale (dal funerale, all’inumazione, dalle fasi del lutto), eppure non si può fare nulla per impedire che la morte trasgredisca la vita, colpendo a suo piacimento. 
Il carattere dirompente e imprevedibile, che accomuna morte e trasgressione, è centrale per comprendere il potere che entrambe esercitano sulla società. 
Vi sono ad esempio dei comuni stati d’animo, profondi, come la paura. 
La paura è insita nel pensiero della morte, ed è il motivo principale per cui viene allontanata dalla nostra società, per cui nascono sensi di colpa o si elaborano riti, come ho già evidenziato in miei precedenti articoli (vd. il mio blog “Neurotopia”, o il breve saggio a postilla del romanzo “Ritorno a Città di Solitudine”). Ma la paura è anche conseguenza della trasgressione, di quella violenta, incontrollata. Anche l’atto trasgressivo può essere portatore di morte. 
Inoltre, chi trasgredisce è condannato e si cerca di “cancellarlo”, con una pena, una condanna morale, se non con un’esecuzione vera e propria da parte dello Stato.
Ma la condanna è un termine che può ricondursi alla morte. Di largo uso è l’espressione che tutti siamo condannati a morire non appena nasciamo. Nei secoli passati, la morte era la giusta condanna dall’alto dei cieli per chi non seguiva i Precetti e le Sacre Scritture (per qualcuno ancora è così; in occasioni di catastrofi, si sentono persone di fede, o di culto – non è detto che le due espressioni coincidano – sentenziare che, forse, quella popolazione ha meritato il castigo divino; o personalità di culto condannano a morte chi trasgredisce precetti religiosi). 
La morte, del resto, con le sue variabili moderne (si pensi ad esempio ai dibattitti sull’eutanasia), è spesso strumento di trasgressione “pilotata”, utile agli Stati, laici o religiosi, per esercitare il potere attraverso la minaccia o la promessa di una speranza futura in un presente incerto. 
Il luogo per eccellenza dove trasgredire, o dove vi è trasgressione, diventa dunque il cimitero. 
La trasgressione è nella città della morte, tra i morti. Città di frontiera tra il nostro mondo e l’aldilà, o il nulla. 
Il cimitero, per molti luogo sacro, e dunque d’ordine, il luogo dove è celato il tabù della morte, può diventare per altri il luogo in cui “dare vita” alla trasgressione. 
E alcuni cimiteri, per le personalità che vi sono seppellite, attraggono più di altri l’idea della trasgressione. 
L’esempio più noto in Occidente è il Cimitero di Père-Lachaise, a Parigi, dove si trovano le tombe di celebrità come il cantante Jim Morrison, lo scrittore Oscar Wilde, il medium Allan Kardec.
Trasgressioni che assumo valenze diverse. 
A volte forse addirittura inconsapevoli per chi le esercita, ma non per chi le vede e le giudica. È il caso delle anziane signore che osservano con disapprovazione la ragazza che corre tra i sentieri del Père-Lachaise in pantaloncini corti e maglietta aderente. Abbigliamento non consono per un cimitero, idoneo per chi considera il cimitero parigino nell’altra sua funzione, quella di parco pubblico (il più ampio della città).   
Altre volte trasgressioni che si concretizzano in atti di vandalismo sulle lapidi, o furti di parte di queste. 
Ancora, in un luogo sospeso, dove l’uomo è a contatto con la morte, fuori dal mondo sociale, e rivela i suoi istinti primordiali, la trasgressione diventa violenza, con aggressioni fisiche di vario genere. 
Oppure, a rimarcare l’unione tra Eros e Thanatos nel denominatore comune della trasgressione, i cimiteri sono luoghi dove si consumano amplessi veloci, anche tra sconosciuti, in una caduta di inibizioni che probabilmente non avverrebbe tra quelle stesse persone, calate nel del contesto sociale di cittadini. 
Così, molte delle cripte in disuso diventano luoghi discreti delle penombre dell’erotismo.   


  






















AGGIORNAMENTO al 04 luglio: 


1) grazie all'interesse di Katia Ciarrocchi, che ringrazio, è possibile leggere l'articolo anche sul portale "Lib(e)ro Libro", al link: http://www.liberolibro.it/trasgressione-e-morte/


2) ringrazio anche Radio RSC per la segnalazione dell'articolo nel loro blog, link: http://www.zazoom.it/blog_rsc/post.asp?id=1201


e in "Google News", al link: 
http://www.google.it/search?q=site%3Azazoom.it&hl=it&gl=it#q=site:zazoom.it&hl=it&gl=it&tbm=nws&source=lnt&tbs=sbd:1&sa=X&ei=R9gNTszoBJGq8QO43oTgCg&ved=0CBcQpwUoAQ&fp=1&biw=1366&bih=681&bav=on.2,or.r_gc.r_pw.&cad=b

Bibliografia in ordine sparso (oltre gli Autori già citati nell'articolo) e inserita a termine per mia dimenticanza: 


1) "Il Cimitero di Jim Morrison", Michelangelo Giampaoli, Eretica Editore, 2010; 
2) "Guida ai cimiteri di Europa", Fabio Giovannini, Stampa alternativa, 2000; 
3) "Come l'uomo inventò la morte", Timothy Taylor, Newton Compton Editori, 2006; 
4) "Ripartire dagli addii", Mirko Orlando, MJM Editore, 2010; 
5) "La Nera Signora - Antropologia della morte" e 6) "La Morte trionfata - Antropologia del lutto", Alfonso N. di Nola; Newton Compton Editori, 1995; 
7) "Paesaggi della morte. Riti, sepolture e luoghi funerari tra Settecento e Novecento", di Maria Canella, Carocci Editore, 2010.

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