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"Dove cresce l'erba" dal romanzo "Le memorie di Rimmel"


Dove cresce l’erba – dal romanzo “Le memorie di Rimmel”.
di Giovanni Sicuranza

- È ben strana quest’alba.
- Dici?
- Morde.
L’uomo si blocca. Inginocchiato a terra, le mani afflosciate sul ciglio di una fossa.
Poi solleva occhi pesanti di sonno sulla donna.
- Morde – ripete come un eco, senza interesse, tanto per sincerarsi di aver capito bene.
Lei non risponde subito. Continua a guardare oltre l’orizzonte, nel rosso intenso che consuma il cielo e cola sul cimitero.
- Sembra che abbia fame, vedi.
Lui continua a guardare lei, lei il cielo.
- Viene giù così piena e veloce, quest’alba – una pausa – E’ vorace.
L’omo annuisce, gli occhi che si spengono sul volto della donna. Solleva una mano ed inizia a grattarsi dietro l’orecchio.
- Ho sonno, Serena – spiega, annoiato – E l’unica voracità che sento è nel mio stomaco – lo sguardo entra ancora nella fossa, cade sulla bara che emerge tra lembi di terra nera, quindi scivola sulle altre fosse, penombre di morte spalancate in un’unica fila lungo il muro del cimitero.
- Stai bene, vero? – chiede, quando torna indietro e realizza che lei è ancora in contemplazione.
- Sì – la donna scivola in ginocchio, al suo fianco – Mi sento in ottima forma, egregio collega – sorride – A parte le nostre tute piene di terra, sono pulita dentro, come non mi sentivo da tempo. E anche sazia.
Lui tenta di sorriderle di rimando, ma riesce solo a tirare le labbra da un lato.
- Boh, non so come fai. Sazia, pulita – agita le braccia in alto – In armonia con l’alba – quindi le allarga come ad avvolgere le fosse – Io vedo un lavoro schifoso da sbrigare in fretta. Qui c’è solo terra scavata per scoprire le bare di legno. D’accordo, le esumazioni sono roba nostra, d’accordo, dobbiamo iniziare in fretta per trasferire le bare negli altri loculi prima che il cimitero apra al pubblico, ma -
La frase si infrange sull’espressione felice di lei.
- Ma? – lo esorta Serena facendogli il verso e subito dopo avvicina il volto al suo.
- Oh, beh, ecco – vagano smarrite le parole di lui.
- Ma che, signor collega Olmo? – sussurra lei, le labbra che salgono ad incontrare il naso dell’uomo e si fermano un soffio prima di sfiorarlo.
– Ma – le narici di Olmo si dilatano – Hai un alito strano, oggi.
Lei si avvicina ancora di più, gli occhi grandi in quelli gonfi di lui.
- Sapevo che lo avresti notato. Sei un esperto, no?
- Che vuoi dire?
Lei ride.
- Niente, niente, dai. Guarda che mica ci sto provando.
- No?
Serena smette di ridere. Ora osserva il suo collega, seria.
- No. Mi riferivo ad altro.
Olmo si guarda intorno, veloce. Nessuno oltre loro due. E le bare disseppellite.
Strofina le mani sulla tela cerata, che dal torace scende alle cosce.
Ora che Olmo è in ginocchio, sembra una massa verde e informe che ne unisce il corpo al terreno.
- Serena – inizia, già rassegnato.
- Olmo – echeggia lei, con lo stesso tono. E di nuovo ride.
L’uomo si alza e si allontana di un passo dalla donna.
- Senti, non so cosa hai mangiato, anche se l’alito mi fa immaginare una colazione prelibata. Quindi, mi fa’ davvero piacere che ti senta in forma, ma io – e si batte le mani all’altezza dello stomaco.
Ciaff, ciaff, sembra applaudire la tela cerata.
Serena sbuffa.
- Dai, ho capito, il solito rompi senza slancio. Guarda che non esiste solo il tuo orticello di erbe, mio caro!
- Cosa c’entra?
- Che so dove vuoi parare. Sbrighiamoci a finire, così non trascuro le mie pianticelle belle belle – Serena congiunge le mani – La tua sinuosa baccellina, la tua colorata bacaia – declama al cielo -  l’adorata cipollina – lancia un’occhiata a Olmo – Smetto?
- Sì – risponde duro lui. Poi abbassa lo sguardo, le parole che sembrano cadere dalle labbra come foglie morte – Non è giornata, davvero. Le mie erbe non crescono bene da tempo. Sarà il clima, il terreno, non capisco. Ma non so più cosa fare.
Serena scrolla le spalle e indica le fosse spalancate davanti a loro.
- Beh, qui ne puoi trovare quante ne vuoi – spiega ritrovando il tono allegro – Lo vedi com’è, no?
Olmo annuisce, lo sguardo che vaga tra il cimitero.
- Sì, lo so, le fosse di seppellimento sono piene di radici.
- Dai, vieni – lo esorta Serena dalla sua posizione accovacciata accanto alla fossa.
Olmo muove un solo passo, incerto.
- E dai, chinati – sbuffa ancora la donna – Palloso che sei! Voglio solo mostrarti una cosa e poi iniziamo a lavorare.
- Promesso? – fa’ lui, sospettoso.
Lei annuisce e Olmo si inginocchia al suo fianco.
- Vedi, non solo le radici hanno riempito la fossa, ma sono penetrate anche all’interno delle casse. Scommetto che troviamo erbe in abbondanza tra i vestiti e lo scheletro.
Olmo entra con lo sguardo nella fossa, segue il profilo della cassa di legno, poi torna alla sua collega.
- Chiaro, si vedono le aperture. Ci sono radici che dalla terra affondano nei feretri – di nuovo si gratta dietro l’orecchio – E allora? Non è certo una novità. Sappiamo bene che le radici crescono più veloci e abbondanti vicino ai cadaveri.
- Sì, sì. L’acqua, i nutrienti.
- Lo stesso terreno, più caldo per la decomposizione.
- Così troviamo spesso cadaveri ripieni di erbe.
Ora è Olmo a ridere, ma lo fa’ a scatti, nervoso. E non smette di grattarsi l’orecchio.  
- Già, proprio così. Pensa alla gabbia toracica. Come una serra, vero?
Lei gli blocca la mano tra le sue.
- Hai detto bene.
- Cosa?
Serena si solleva con uno scatto e trascina con sé il collega.
- Vieni.
- Cosa? – ripete lui, stupito.
- Dai – e con un salto la donna è già sul bordo della fossa successiva.
Si gira verso Olmo.
– Muoviti – lo esorta , allegra - Forza.
Lui chiude gli occhi e gira la testa da un lato, poi torna a guardarla, le braccia che si protendono come a respingerla.
- Basta, ora – sbotta, seccato – Hai detto che avremmo cominciato a lavorare. Lo sai che dobbiamo separare tutte queste bare dalle radici e sistemarle nei loculi nuovi, no? Lo sai che sono ben nove fosse, lo sai che a mezzogiorno il cimitero apre al pubblico, lo sai
 - Lo sai perché l’alba è vorace?
- L’alba è … – Olmo si porta le mani al viso, sconsolato – Oh, insomma, Serena, ma cos’hai oggi?
- Te l’ho detto – replica lei, le parole che gonfiano l’aria di elettricità – Devo mostrarti solo una cosa. Uffa, vieni, forza.
Olmo muove un passo, scuote la testa, quindi si decide e raggiunge la collega.
Lei indica dentro la fossa, il viso che è ormai l’elogio alla soddisfazione.
Lui la osserva in una marea crescente di sconforto.
- Cosa c’era nella tua colazione, oggi? Il tuo alito … sarai mica fatta?
No, dice lei con la testa, il sorriso che si allarga, gli occhi che brillano, la mano ferma e tesa verso la fossa.
Allora Olmo guarda.
E subito crolla in ginocchio, proprio ai margini della fossa. Per un istante sferza l’aria del cimitero con le braccia, poi, trovato l’equilibrio, diventa solo occhi immobili e sbarrati.
- Ma – inizia, indeciso, gorgogliando tra ondate di rughe che solcano la fronte.
- Ma – ripete, e finalmente si sporge all’interno.
Quando riemerge, il suo sguardo è domanda attonita che riempie quello di Serena.
- Cosa è successo?
- E’ da tre giorni che ci penso, sai, da quando hanno dissotterrato le casse.
- Cosa è successo?
- Le radici cercano i cadaveri, è proprio vero. Si insinuano tra la terra, scivolano intorno ai sassi, poi mordono il legno. E scavano, scavano, pazienti, tenaci. Fino a tuffarsi nella morte.
- Cosa è successo?
- Così, quando apriamo le bare, tra i resti troviamo un’erba rigogliosa, piena di vita.
- Cosa, Serena, per favore, cosa è successo?
Serena sbuffa.
- Ma sei noioso, davvero!
- Insomma, la cassa è aperta, ci sono solo
- Solo scheletro e vestiti – veloce, la donna si china su Olmo e gli alita addosso.
Lui chiude gli occhi, ma non si ritrae.
- Buono oggi il mio alito, vero? Anche le erbe che ho preso ieri sera lo erano. Mai assaggiato niente di meglio. Le ho divorate tutte, cena e colazione compresa.
Olmo cade a sedere, appoggia le mani sulle zolle di terra umida e inizia a strisciare, indietro, lontano da quelle parole, lontano dal loro significato.
- Hai … hai aperto …
- Uff – sbuffa Serena – Ancora. Ma sai terminare una frase? Lo dici sempre anche tu che i cadaveri diventano ottimo terreno per le piante, che sono così ricchi di nutrimento che puoi trovarci anche erbe prelibate.
- Era così, per dire – scivola ancora un po’ più indietro lui.
Il viso di Serena fende l’aria fino a sfiorare Olmo.
- Beh, io non sono una bla bla bla come te! E ho fatto così. per fare!
- Hai aperto la cassa, hai tolto le erbe dal corpo e le hai … cioè – Olmo smette di strisciare.
- Erano squisite – ammette lei – E mi sento sazia e felice e piena di vita – precisa mentre il tono e gli occhi e le mani e tutto il suo respiro si alzano al cielo – Ed ora, capisci, non ho mai visto un’alba più vera di questa!
Olmo lancia un’occhiata veloce all’ombra di un cranio che filtra dalla fossa, poi torna alla collega che troneggia su di lui. Fa’ per aprire la bocca, poi la richiude, e in quel mentre la sua espressione diventa pensierosa.  
- Quindi, ascolta, quindi credi che per il mio orto
Lei si affloscia, delusa.
- Che patetico, ma guardati. Il tuo orto, il tuo orto! Ieri la cipollina, oggi la calendula, ti manca solo l’agonia dell’ortica e poi sei pronto all’estinzione. Un ortotematico, ecco cosa sei! Ma è qui che ci sono le erbe migliori, non lo hai ancora capito?
L’uomo si alza, lento, lo sguardo che entra ancora nel silenzio della fossa.
Le dita scivolano in gesti distratti a liberare i pantaloni dal terriccio, fino a quando una mano cade dentro una tasca.
- Mi hai dato un’idea, invece – mormora avvicinandosi a Serena.
- Davvero? – fa’ lei, la domanda incrinata dalla sorpresa – Sembri tornato in forma, in effetti – aggiunge, muovendo a sua volta un passo indietro, mentre osserva il sorriso di Olmo nascere e diventare una lunga fessura sopra denti gialli – Di quale idea si tratta? –la voce incrinata, un altro passo indietro.
- Il tuo problema, cara Serena, è che hai le idee, l’ispirazione, ma non cogli l’essenza – spiega l’uomo con il blando tono di un rimprovero – Non è che qui ci sono le erbe migliori – con uno scatto ghermisce i capelli della donna - È che qui c’è il nutrimento migliore –un altro scatto con cui estrae dalla tasca le forbici da potatura – Ed ora so come procurare l’humus perfetto al mio orto malato.
Serena si divincola, urla. Un solo suono, però, breve, spezzato.
Le forbici affondano nel suo collo, una volta, due, e poi, quando crolla nella fossa, la cercano ancora e le aprono il petto, il ventre.
Sono ferite piccole, ma profonde, numerose, come le fessure delle bare aperte dalle radici.
E solo quando anche lei è diventato un corpo immobile, Olmo smette di colpire e si alza.
Ansima, si guarda intorno, e ancora ansima.
Con la mano che regge le forbici si deterge la fronte, pitturandola di un rosso acceso come l’alba.
Vorace.
- Il mio orto – mormora, finalmente felice, lo sguardo perso all’interno della fossa.  


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