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Angoli di vita nella morte del Cimitero di Père-Lachaise


Negli oltre due secoli dalla fondazione, alla funzione primaria di necropoli, Père-Lachaise ha visto aggiungersi un insieme di altre forme di appropriazione del suo spazio, che concorrono a rendere il cimitero di Parigi quale luogo unico e complesso che tutti possono visitare.
E vivere.
Rimane innanzitutto un cimitero, ma anche un museo a cielo aperto e una delle principali attrazioni, con massima espansione dalla metà del secolo scorso.
Il Père-Lachaise è il più grande spazio verde del centro cittadino e come tale viene percepito e vissuto da molti di coloro che vi si recano quotidianamente per trovre riparo dal caos urbano.
Per riposare, meditare. Creare.
In una conversazione mentale o sussurrata tra vivi e morti.
E tra vivi e vivi. Scrive Colette Pétonnet in “La ville inquièt – le temps de la riflexion” (Paris, 1987): “Esistono dei luoghi che conservano nel tempo un potere di meditazione … Il cimitero del Père-Lachaise, inaugurato nel 1804 su quello che anticamente era un parco di proprietà dei gesuiti, è frequentato da un gran numero di visitatori attirati dalle tante tombe celebri che vi si trovano tra la vegetazione. Benché le inumazioni continuino ad avere luogo, esso è utilizzato come giardino pubblico dai parigini … i quali spesso non vedono l’ora di potere guidare i turisti tra i numerosi sentieri”.
Trattandosi di una vasta area pedonale, in questo luogo di passaggio (in senso metaforico e reale) non c’è estraneo che non possa divenire conoscente, anche occasionale, di altri estranei, dove non solo la velocità e la tensione verso il futuro a dettare i tempi, ma il presente fine a se stesso o placidamente rivolto verso la memoria del passato.
Scrive ancora Pétonnet: “Le persone non rifiutano il contatto, al contrario, concendono volentieri una parte di se stesse nella misura in cui la loro identità e il loro indirizzo restano segreti. Ma il codice implicito dell’anonimato esige, perché si possa entrare in contatto con l’altro, che vi sia un pretesto reale, un argomento profondo”.


Un argomento che possa in qualche modo essere riconosciuto come attinente alla memoria, alla morte, anche e soprattutto nel suo concetto generale, antropologico, sociale. È il luogo cimiteriale e la parola morte, dunque, che hanno il potere di unire i vivi in uno scambio di opinioni impensabile al di fuori delle mura del Père-Lachaise.


Opinioni che possono entrare nelle ombre dello spiritismo (come sulla tomba del presunto e venerato medium Allan Kardec), o nei gemiti dell’erotismo.

Ogni volta che si entra in questa necropoli, si avverte, infatti, il binomio erotismo-morte. La relazione sessualità-morte diventa evidente nelle lunghe passeggiate tra le lapidi, i monumenti.
Necrofilia, vampirismo, sacrifici.
A volte tema di racconti per i visitatori, soprattutto nella forte valenza vampiro-sensualità.
Al cimitero di Père-Lachaise molte sono le narrazioni che riguardano il vampiro nelle sembianze di una giovane e bella donna vestita di scuro o di un’inconsolabile vedova che placa il proprio dolore attraverso il sangue degli uomini. Tra queste mura, infatti, il vampiro è un protagonista essenzialmente femminile, forse per la memoria di Carmilla, la sensuale non-morta ideata nel 1872 da Sheridan Le Fanu (a sua volta, sembra, ombra leggendaria della sanguinaria contessa ungherese Erzsébet Báthory). 
Altre volte, per quanto concerne atti di sacrificio (animali, feticci), o di voyerismo, o di prostituzione, si tratta invece di vita reale che si consuma nei segreti della necropoli.  

In nessun luogo come nel Cimitero di Père-Lachaise, la morte è pretesto e continuità di vita. Una vita che sa di conoscenze occasionali, di meditazione, di creatività, di svago.
O che è l’anticamera per tornare alla morte, soprattutto nei suoi aspetti leggendari. Raramente, anche in quelli concreti.


Giovanni Sicuranza

  



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