Piove. L’ombrello nero, ovunque nero, appeso a punta in giù. Il manico incurvato, ben saldo alla maniglia della porta d’ingresso, come una zampa, con un’unica, lunga falange, di un volatile. Chissà da quanto tempo è lì, dimenticato ad asciugare. Dovrei ricordare quando è stata l’ultima volta che ha piovuto. Ma non ho tempo. Ora ho esaurito il credito dell’attesa. Lei mi attende, la vedo. Vestaglia rossa tra le lenzuola nere. Le tenebre sono il nostro mantello di passione. Sono in ritardo, non posso esitare. La mia auto è proprio davanti all’ingresso, lucida di pioggia. Gocce rimbalzano in ogni metallico ostacolo della carrozzeria. Esplodono o dove vanno? Non riesco a capire, è così insolitamente buia la strada, nonostante le luci esterne. E comunque devo andare, prendere l’ombrello, aprire la maniglia, uscire. C’è lei. Sento il suo fremito, lo trasmette nella mente, tra le gambe. Esco. La pioggia mi scorge subito, sciami d’acqua si gettano sul mio corpo, freddi, pungenti