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Intervista su "Mangialibri". La mia scrittura.

Intervista a cura di Sonia Argiolas, al link:


La riporto di seguito.


Per ragioni “logistiche” non ho avuto la possibilità di incontrare personalmente Giovanni Sicuranza e, soprattutto, verificare di persona se la sua logorrea – definita incurabile – potesse essere arginata con un’intervista vis à vis. Ci siamo accontentati di una intervista tramite Facebook, perché è qui che l’ho conosciuto. Anzi, per essere precisa un giorno ho letto un post provocatorio che mi ha colpito di un tale Sicuranza. Era una provocazione che ho ritenuto intelligente. Certo, è stato assalito da una marea di commenti negativi. Ma si è salvato dal linciaggio. Resistente il ragazzo. Di sicuro, non si salverà dalla logorrea.

È risaputo che tu sia logorroico - ironicamente parlando - come mai hai scelto il racconto che è breve e, tra l'altro, non è il genere più amato in Italia?

Proprio perché il racconto, essendo un genere bistrattato, mi da modo di parlare e parlare e parlare a suo favore. Insomma, se avessi scritto un romanzo, una domanda come questa mica la facevi. Ed ora mi sollazzo. Comunque, per prenderla alla larga, comincio con il ricordare che ho scritto ben due romanzi, di cui uno pubblicato con Montag Editore, Quando piove, l’altro, Lungo il vento, un tomo di oltre 350 pagine, dalla guerra civile (posso definire così, per come credo sia stata, la guerra tra italiani nell’ultimo periodo bellico e oltre?) ad oggi. E ancora non ho esaurito la logorrea, perché, se è vero che il racconto è breve, mi rifaccio sulla quantità. In ogni caso, e controcorrente, ritengo in genere il racconto più interessante del romanzo, sia come autore, sia come lettore. Mi spiego: secondo me, il buon autore si vede nel racconto, ovviamente non in un singolo racconto, ma nella prova di più racconti. Riuscire a condensare la forza, la completezza di personaggi, dialoghi e storie in poche pagine è un esercizio di corsa veloce, che richiede allenamento, la potenza dei muscoli della creatività. Il romanzo, che non snobbo affatto, è invece più una maratone, con abilità sul lungo percorso. Due stili diversi, ma quello della corsa veloce, è a mio avviso tanto più difficile, quanto più stimolante. E poi, nel racconto completo, ben scritto, come lettore trovo non solo le emozioni che vivrei in un romanzo, ma anche il modo per assaporarlo nei ritagli di tempo che ho, durante una giornata di lavoro. In treno, ad esempio, sull’autobus. Il racconto, infine, può essere a incastro con gli altri racconti, dando luogo a una sorta di romanzo, un ibrido, come avviene in Storie da Città di Solitudine e dal Km 76, che hanno un senso di continuità. Ecco, in realtà è questa la forma che preferisco.

Come mai l'auto-pubblicazione? Qualche commentino, anche cattivo non ci scandalizziamo, sull'editoria?

Ho pubblicato, e continuo a pubblicare, anche con l’editoria (nei prossimi mesi usciranno due antologie, una scritta a fianco di autori famosi, con miei racconti), per cui non è stato una scelta di esclusione. Non è abbastanza cattivo, vero? Allora eccoti un’altra versione, che non esclude quanto ti ho appena scritto. L’editoria è un marasma saturo di libri, è come trovarsi a ferragosto sulla riviera romagnola, in un centro commerciale la vigilia di natale. Nell’editoria sei meteora. E lo sei che tu valga davvero o meno. Lo sei se quanto scrivi è commerciabile. L’editore non è un benefattore, ma una ditta che cerca, giustamente, guadagno. Il guadagno è il libro di Totti, mica di Sicuranza, che, tra l’altro, non dando un senso di catartica liberazione, è poco vendibile (è quanto mi ha scritto un editore medio come motivazione al rifiuto di “Lungo il vento”). E dopo Totti, veloce, accavallandosi altri libri su libri. L’editoria non ti da attenzione. Non ti considera, in genere, a livelli medi alti se sei uno sconosciuto, perché legge “rischio”. Del resto, credo che anche per un autore semisconosciuto pubblicare con un editore medio-grande possa rappresentare un rischio: se con un editore piccolo vendo duecento copie, sono un caso da best seller; se vendo le stesse copie con un medio-grande, sono un flop, una macchia nera sul mio curriculum. E, magari, anche sul mio orgoglio. Tuttavia il piccolo editore, oltre a chiedere spesso soldi per pubblicare, non è in grado di darti l’attenzione che può dare, invece, un’autopubblicazione. Ovviamente con un referente serio. Con Youcanprint credo di avere investito bene e di essere arrivato lontano, con vendite e recensioni, come mai mi era capitato tra i piccoli editori che mi hanno pubblicato. Gli svantaggi sono che un lettore difficilmente sarà incuriosito da un libro auto-pubblicato, che magari si trova solo su internet (in Italia non abbiamo l’abitudine all’acquisto naturale in rete), perché, forte anche della vasta scelta del mercato editoriale (che non sempre, anzi, qui sono cattivo, di rado è sinonimo di qualità), avrà comunque il pregiudizio che un libro autopubblicato sia un libro che non vale. Molte volte ha ragione. Tutti siamo scrittori, pochi lettori, ancora meno autori. Si trova immondizia nel mercato editoriale e tanto marciume in quello dell’autopubblicazione. A volte non è così. E concludo questa risposta, ritengo abbastanza logorroica, segnalando un altro potenziale vantaggio dell’auto-pubblicazione. Il libro, con un buon sistema di promozione, rimane più a lungo delle meteore esposte in libreria. Forse, oggi, uno scrittore come Calvino, nel rapido ricambio dettato dalle esigenze di mercato editoriale, nemmeno sarebbe stato notato. E poi la sua espressività era mordente proprio nella forma ora meno interessante: il racconto. Ecco, torno alla prima domanda? No, d’accordo, andiamo avanti.


Nella tua opera hai trasformato la morte in poesia - e questo è un complimento. Perché?

E se la morte, in realtà, in genere, fosse poesia? Ho volutamente trattato l’argomento morte, che ritorna spesso nei miei racconti e romanzi, in questo modo per invitare a riflettere sul tabù morte. Nel seguito di Storie da Città di Solitudine e dal Km 76 ho scritto anche un breve saggio a proposito. La morte, oggi, è evento presente nel sociale, ma da allontanare, da rifiutare. Una società che non sa più assistere al dolore di un individuo in lutto, ma lo “sopporta”, a volte lo isola in frasi di circostanza, imbarazzate, è una società disgregata, basata solo sul valore vita-bellezza-consumismo. Valore che, ovviamente la morte scardina. Oggi si muore non più circondati dai familiari, magari in casa, ma spesso soli, confinati in una stanza di ospedale. La medicina ha allungato la vita, ma ha, sia pure inconsapevolmente, allontanato ancora di più la morte, ospedalizzandola. Nascondendola alla consapevolezza della vita sociale,senza sconfiggerla. Anche questo contrasto, alimenta il tabù, la paura della morte. Per questo Fine Viaggio è uno spaccato di società insolito, ma più maturo del resto dei paesi e delle città. A Fine Viaggio, ogni morte ha un’alta coralità, anche quando dettata da follia.

Lo scrittore nasce da un lettore?

Credo che lo scrittore si formi non ai corsi di scrittura, dove, anzi, si rischia di apprendere un superficiale appiattimento di stile, ma dopo avere letto per anni e anni centinaia di libri. No, non solo letto. Assaporato. Dopo avere ascoltato le parole e avere iniziato a vedere la realtà con le parole lette. Il mio esordio ufficiale come scrittore (nel 2006) nasce dopo quasi trent’anni di assidua lettura. Ci sono autori che ho seguito, affascinato, in passato, per poi passare ad altri. Ho letto contemporaneamente un romanzo, o una raccolta di racconti, e un saggio. Ho vissuto le parole altrui prima di trovare le mie, complete, e allo stesso tempo ancora in evoluzione, sulla carta. Credo che prima di un autore (e quindi non di uno scribacchino) ci sia sempre un accanito, attento lettore. Beh, sempre che non sia accanito lettore di autobiografie di personaggi dello sport e dello spettacolo. O forse no, chissà. Forse avrebbe la chiave per essere scrittore di successo.

So che c'è un ritorno a Città di Solitudine. Perché? Dovevi ancora dire qualcosa?

Ah, qui, non ci crederai, ma sarò breve. Perché, credi che un logorroico riesca a fermarsi una volta che ha creato un piccolo mondo? La risposta, comunque, è nella postfazione di Ritorno a Città di Solitudine. Ma come, non lo avete ancora letto? Ed io che sono già al terzo volume, dove spiego il perché della scelta del nome “Città di Solitudine”: quando l’autore è logorroico, anche i personaggi si defilano. Zitti zitti, quatti quatti.

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