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L'occhio [i racconti della vista]

Nel chiaro scuro della cucina, l’occhio si muove lento.

Non ha i rapidi sipari delle palpebre, è solo iride grigia spalancata sul silenzio.

L’umidità si lacera sotto il suo sguardo fisso, senza nemmeno un lamento, come carne fradicia sotto la lama.

L’occhio si gira, prima verso una parete, poi verso l’altra. Dalla finestra chiusa, con le tapparelle cadute come palpebre sulla morte, alla porta, serrata a chiave come confine inviolabile tra il mondo esterno e la cucina, lascia una ferita di ghiaccio sulla viscosità dell’aria.

E quando ha completato la visuale non cerca altri particolari, ma ricomincia, in senso inverso. Tenace.

Vigile.

Nel suo percorso ostinato ha sfiorato più volte l’uomo, con la stessa indifferenza lasciata sul mobilio della stanza.

Vittorio lo ha dapprima ignorato, smarrito in ben altri insoliti avvenimenti, poi ne ha avvertito il movimento, così flemmatico da essere percepito come uno sbuffare che gli ha riempito una spalla, è salito sul viso, ed e quindi sceso sull’altra spalla, per proseguire oltre. Lasciandolo pesante di nuova solitudine e umidità.

Allora ha sollevato il suo sguardo sperduto e ha seguito l’iride grigia. L’ha vista osservare la credenza di faggio, lucida sui ricami screpolati della parete, scivolare sul televisore lasciato nell’angolo per riempire il vuoto dell’arredamento e delle conversazioni con la moglie, soffiare sulla porta sigillata dall’esterno.

Qui, come resasi conto di non essere in grado di passare oltre, l’iride è tornata a lui, lo ha fissato da una spalla all’altra in un accenno di gelo, per poi ignorarlo ancora, nell’esplorazione verso il buio della finestra. E da lì ha ricominciato.

Vittorio sussulta ancora.

La cucina è solo un sussurro di luce che filtra mutilata dalle tapparelle. Non capisce quanto tempo è rimasto complice del lento vagabondare del ventilatore, ma la sua perplessità è subito dissolta nell’afa della cucina. Una fitta improvvisa nella bocca gli urla la sua nuova condizione e allora in un unico fremito tenta di muovere braccia e gambe fasciate da lunghi formicolii.

Tutto quello che ottiene è lo stridere di disapprovazione della sedia, a cui è unito in un tenace abbraccio di corde.

***

Serena ha un sussulto che prosegue sull’onda del suono propagatosi dalla cucina.

È una reazione automatica. La sua vita è graffi trasaliti di angosce e paure, lacerazioni di sensi in nere esplosioni di dolore.

Ma oggi sente di avere la situazione sotto controllo.

Per questo il sussulto si placa nel sussurro di un’espressione antica, che credeva smarrita nel pallore del viso.

L’immagine allo specchio le risponde con lo stesso compiacimento e la rassicura. Anche quando il rumore si ripete.

É solo il rinnovarsi del fallimento di Vittorio.

Che è testardo, Serena lo sa.

Ma conosce ancora meglio il lato oscuro di suo marito, quello che si muove solo tra le pareti della casa, predatore fedele al territorio, quello che ha violato il suo corpo in un continuo rinnovarsi di lividi e sangue.

Mai sul volto, mai sulle braccia.

Da questo punto di vista Vittorio è sempre stato molto premuroso.

La loro è una famiglia unita, lo vedono tutti, ma proprio tutti.

Il dottor Vittorio Amati è immagine e somiglianza del successo. E sua moglie Serena è la segretaria che ha ceduto alle promesse di questo uomo bello e gentile, fino ad unirsi a lui nella buona e nella cattiva sorte. Buona per lui, che ha continuato a raccogliere rispetto e potere, cattiva per lei, che ha iniziato a ricevere divieti e punizioni.

Il rumore si ripete, soffocato dalle pareti che separano la cucina dal bagno. E forse, osserva Serena senza smettere di sorridersi attraverso lo specchio, già più debole di prima. D’altra parte, Vittorio sarà anche furioso, ma ogni volta che si agita sulla sedia le corde di nylon aprono sentieri di sangue più profondi nei polsi e nelle caviglie.

- Non urlerà – sussurra strizzando l’occhio alla donna ritrovata.

- Ne andrebbe troppo della sua immagine – aggiunge il riflesso di lei con un’ironia nuova che lascia un piacevole sapore all’animo di entrambe.

Serena si avvicina ancora di più allo specchio e si osserva nel fiume di luce che sgorga dalla finestra spalancata.

- Sei una donna – svela, con l’impressione che a parlare sia davvero un’altra, tanto è forte lo stordimento nel ricordo degli ultimi avvenimenti. Intanto, senza distogliersi da dosso occhi spalancati di curiosità, apre il rubinetto e affonda le mani nel getto d’acqua calda.

Sinuoso e pigro, il sangue inizia a scivolare sui pendi del lavandino.

***

Vittorio ha un solo desiderio.

Esplodere. E bruciare la traditrice che sente muoversi nel bagno.

Per quanto irrazionale, è l’unica aspettativa che lo riempie da quando ha capito che è meglio non muoversi. Non più.

Il dolore si apre tra il liquido che cola sui polsi e sulle caviglie, vischioso come il sudore steso tra pelle e vestiti.

Seduto sulla sedia, mangiato dalle corde di nylon che scavano carne ad ogni respiro, sa che sta perdendo sangue anche se non riesce a vederlo.

Sa che più si agita più la morsa diventa penetrante tenacia.

L’ira cade a valanghe nei suoi pensieri.

Ha anche provato a chiamare la bastarda, ma la bocca non è più parte della sua volontà.

Dove fino a poco prima si apriva il biglietto da visita del suo sorriso ammaliante, ora c’è solo il pulsare delle gengive gonfie che sale violento fino alle orecchie. Con quanto rimane della lingua frastagliata, sente ancora galleggiare frammenti di denti nel sapore denso del sangue, una scoperta che al momento non osa approfondire, perché aggirarsi tra le macerie della bocca apre nuove fitte di dolore e frustrazione.

Ha anche pensato di violare questa inaspettata sconfitta con un potente grugnito di rabbia senza parole, ma probabilmente nessuno dei vicini ancora sa e certo quell’ingrata tornerà a liberarlo quando si renderà conto di cosa ha fatto. Per cui, tutto sommato, è meglio aspettare, lasciando al palazzo il silenzio di una famiglia perbene. Intanto può pensare alla punizione per la moglie, enorme come il suo orgoglio ferito, lacerante come i denti che gli ha spaccato, sottile come la scena a cui lo ha costretto.

In un bisbiglio di calma, abbassa lo sguardo sul tavolo apparecchiato e solo in questo momento, nella penombra della cucina, osserva davvero ciò che ha davanti.

La pasta gonfia il piatto di abbondanza, come lui ha preteso ogni volta che tornava dal lavoro.

D’altra parte è legato proprio al suo posto di sempre.

Ma ora gli occhi si aprono in un grande ovale di incredulità e sussultano con tutto il corpo di rabbia e impotenza. Le corde di nylon si tuffano un po’ di più nella carne, ma lui non è più in grado di ascoltarle.

Invece alza lo sguardo con uno scatto così forte che per un attimo i suoi occhi sembrano lanciarsi al soffitto. Poi, quando scoprono che non c’è via di fuga, che quello che hanno visto è la firma del non ritorno di Serena, cadono di nuovo sul tavolo.

Ma quel piatto è troppo forte per essere visto una seconda volta, anche se dovrebbe rappresentare il desiderio culinario di Vittorio, quello per cui ha tentato più volte di istruire la moglie incapace ai fornelli, fino a qualche sera prima, quando è stato costretto a lacerarle il naso.

Gli occhi di Vittorio fuggono ancora, sollevandosi proprio nel momento in cui l’iride grande e grigia del ventilatore sta soffiando su di loro.

Vuoti, persi, vi entrano dentro e la seguono, docili, nella sua lunga scia dalla porta alla finestra. In un’andata e ritorno senza sosta.

***

La crepa di Vittorio si sta svelando con l’apertura della porta di casa.

Anche alla fine di quella giornata può ritenersi soddisfatto dal lavoro, ma, come sempre, dopo un pranzo bruciato nei pochi minuti del ristorante, ora ha davvero fame.

E la sua passione deve essere già lì, ad attenderlo in casa.

Pronta. Perfetta.

- Ciao caro – lo raggiunge la voce allegra di Serena mentre chiude la porta. In realtà ,sotto la sua accoglienza gioiosa, Vittorio percepisce una scarica di singulti, simili all’arrancare della chiave nella vecchia serratura. Ma va bene così.

Serena sta ancora imparando ad essere una moglie accogliente e premurosa, per cui se in realtà si sente in ansia per paura di sbagliare, vuol dire che prende seriamente il suo ruolo.

Intanto c’è sempre il rischio della crepa. Sul suo desiderio.

- La pasta? – chiede mentre si avvicina alla cucina, e porge la giacca alla moglie rivolgendole un sorriso in cui non c’è spazio per altre parole.

Serena non risponde. Vittorio si ferma e solo allora la vede.

È la fotografia di labbra tirate in un sorriso sotto occhi tremanti. Regge ancora la sua giacca, immobile, come un gracile attaccapanni in vestaglia bianca.

Lui la penetra con gli occhi.

- Allora? – sibila mentre l’ira spegne il punto interrogativo. Intanto, da marito premuroso, risponde al sorriso di lei.

- E’ pronta, caro – sospira la moglie – A tavola –

Vittorio annuisce rapido, pensa di regalarle una carezza di incoraggiamento, poi decide che è meglio rimandare a dopo.

È già la terza volta che la pasta non è cotta come la desidera, come la assapora con mente e saliva già dalle prime ore del pomeriggio.

Si siede al suo posto.

Il piatto è lì, gravido di cibo, fumante di premurosa puntualità.

La cucina freme di attesa.

Vittorio ascolta per un istante la presenza silenziosa della moglie alle sue spalle, poi affonda la forchetta. La pasta si lacera nel tintinnio della posata contro il piatto e sale verso il suo destino in rivoli di sugo denso.

Vittorio muove la mandibola, cauto.

Una volta.

Silenzio.

Due.

Il piatto si frantuma sul pavimento spargendo ovunque corpi di pasta insanguinati al sugo.

- Non è al dente! – tuona il marito in un sussurro roco, ancora ligio all’immagine di educato, silenzioso vicino.

Ma la delusione è cocente, almeno quanto la pasta.

Troppo cocente.

- Non è – rimbalza Serena, occhi liquidi sparsi brandelli di pasta e schegge di ceramica.

- Ma perché – geme Vittorio, il lungo desiderio di pasta al dente che si frantuma sul pavimento con la cena.

- Ma perché – la testa ricama una scia di sudore nell’afa dell’imbrunire mentre si accascia sullo schienale.

- Ma perché – le mani ghermiscono i capelli della moglie e ne schiantano il viso contro lo spigolo del tavolo.

Serena si affloscia con un soffio sorpreso.

- La pasta deve essere al dente! Al dente! – rombano le parole di lui, eretto come un monolite sopra il corpo stupito della moglie.

Hai capito, le chiede Vittorio con un calcio nell’addome.

Mi sono spiegato, ribadisce precipitando un piede sulla schiena inarcata di lei, chiusa su se stessa come un riccio.

- Arrivo stanco, lavoro per mandare avanti la famiglia – ansima Vittorio – Ed ecco come ti preoccupi di me! Non ti chiedo molto – un altro calcio crolla ad un soffio dalla testa di Serena. E tutto in Vittorio si spegne, all’improvviso, come risucchiato in un buco nero della mente.

Si china delicato sulla moglie e le sfiora i capelli al sugo di pomodoro.

- Devo ancora farti capire molte cose, Serena – sussurra guardandola negli occhi chiusi, seguendone affascinato i sentieri di lacrime che scendono piano sul viso, fino ad incontrare il sangue del naso fratturato e diventare rapide che si tuffano al suolo.

Poi, con il sospiro di chi è chiamato a un grande compito, Vittorio si alza e si incammina verso la porta.

Prima di uscire, allunga una mano verso il ventilatore e lo spegne.

- Pulisci tutto, bene, anche il vomito e il sangue. E fatti bella -

Vittorio osserva le pale svelare contorni sinuosi mentre perdono velocità.

- Vado a cena dagli amici. Ti chiudo a chiave. Senza ventilatore, così ti abitui a stare sui fornelli –

Le pale singhiozzano di inerzia.

- Un’ultima cosa, tesoro, tanto per essere chiari - Vittorio sorride soddisfatto, gli occhi che seguono l’agonia del ventilatore - La prossima volta, se la pasta non è al dente, assaggerai un po’ d’acqua di cottura.

Le pale si spengono nell’aria umida.

***

Serena è una donna pallida e tremante che si aggira nell’elegante quartiere della sua invidiata vita matrimoniale.

I passi frettolosi, le braccia incrociate sul petto, lo sguardo basso che non vede fino a quando il marciapiede non diventa acciottolato e le vetrine dei negozi si affievoliscono dall’esposizione dei vestiti all’ultima moda alle giacenze dei piccoli magazzini.

Allora rallenta l’andatura, ma non il ritmo dei pensieri.

Si sente leggera e confusa e libera e ferita.

Non si conosce ancora per quello che è diventata, ma non vuole più incontrare la moglie di Vittorio.

È l’unica certezza a cui si sorregge mentre barcollando raggiunge il palazzo vicino alla stazione.

Gli altri pensieri sono vento confuso che aggredisce e morde.

Suo marito la picchia perché una coppia deve essere affiatata.

Le ha spiegato ogni volta con pazienza che per essere affiatati l’uomo e la donna devono agire allo stesso modo, perché la società osserva e giudica.

Serena alza gli occhi sull’insegna appesa all’ingresso del palazzo e si ferma.

La percorre con lo sguardo, ne scorge gli spigoli delle lettere nere e la scopre perentoria e piena di incognite. Un sospiro esce dalle labbra tirate e scende in un brivido lungo la schiena.

La donna è debole, spiegava calmo Vittorio mentre le insegnava ad essere come lui, ha bisogno di stimoli appropriati. E calava la sua rapida adeguatezza sul corpo di Serena. Schiaffi, pugni. Qualche volta anche le mazze da golf, il vestito leggero dei suoi affari, nelle varie numerazioni di calibro a seconda dell’errore commesso.

Lei soffriva, taceva e aspettava la prossima inevitabile punizione, perché trovava logico il ragionamento del marito, perché anche suo padre picchiava la mamma e se è vero che i tempi cambiano, i ricordi diventano cemento sui pensieri.

E comunque grazie alla professione di Vittorio aveva il rispetto della gente.

Serena sfiora il primo gradino della Questura e si blocca di nuovo.

Erano quasi perfetti, ormai, una sincronia tra il potere di lui e l’angoscia di lei.

Solo la pasta continuava ad essere il suo punto debole. Non le veniva mai cotta al punto richiesto. Al dente.

E ogni volta Vittorio doveva ricordarle la sua parte.

Fino alla sua ultima punizione, quando i ruoli familiari si erano frantumati.

Serena era cresciuta tra le urla del padre e i silenzi della madre. Nel buio dei lividi di lei c’era la legge senza attenuanti di lui.

Quando la trovarono davanti alla caserma dei carabinieri, fragile di lunghe paure, Serena aveva sei anni. Era finalmente fuggita di casa. E non aveva proprio nulla di sereno da raccontare.

Poco dopo i militari trovarono la madre. Il viso gonfio di ustioni, il resto del corpo freddo di morte. Sopra di lei, il padre reggeva una pentola, e lasciava cadere al vuoto la stessa cantilena che avrebbe poi ripetuto nei giorni a seguire: “Nell’acqua bollita ci vuole il sale, nell’acqua bollita ci vuole sssempre il sale”.

Serena abbassa lo sguardo, appesantita da un masso di sensi di colpa.

Le unghie affondano nel palmo delle mani ed è un bene, perché le ricordano che il dolore non è dialogo.

Quella sera Vittorio l’aveva colpita al volto, per la prima volta, e aveva minacciati di bruciarla. Sola dopo la punizione, mentre ascoltava il silenzio riempirle la ferita al naso, aveva rivisto la morte della madre. E la sua fuga dai carabinieri.

Di nuovo lo sguardo di Serena corre sopra il portone, ma ora scivola oltre l’insegna severa della Questura.

Dalla finestra aperta al primo piano, l’occhio di un ventilatore si gira pigro su di lei, la fissa per un istante, poi torna indietro, verso l’interno della stanza.

Serena annuisce, piano, e decide di accettare il suo invito.

Mentre entra, pensa con un sorriso pesante che il piatto preparato la sera prima, pasta al dente del marito, è stato il suo primo ed ultimo capolavoro di moglie.

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