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l'uomo immobile

Per Mario e Luca quella di oggi è una giornata senza.

Senza scuola, senza compiti, senza pioggia.

E senza indugi la stanno assaporando nell’appuntamento con gli amici al bowling, dove tra una palla e l’altra, Luca ha trovato il tempo di rompere quelle di Mario con la fissa di scommettere sull’uomo immobile. Mario, figlio di un operaio metalmeccanico e di una casalinga; Luca, figlio di affermati professionisti.

- E’ da un po’ che non ci andiamo, dai – torna alla carica quest’ultimo mentre sono seduti a sorseggiare due mega cola ghiacciate.

Mario è perplesso, lo ha già detto al suo amico, ha tentato anche di cambiare argomento, più attratto dalla prospettiva di rimorchiare Sonia, ma il colpo di grazia lo ha avuto proprio quando la ragazza dei suoi sogni erotico-sentimentali, delle sue solitarie esplorazioni sessuali nel buio della stanza da letto, ha cinguettato alla compagnia:

- Andiamo a vedere l’uomo immobile! – e la compagnia è diventata un unico paio di gambe che si sono affrettate verso le auto e i motorini, lasciando Luca e Mario soli, alla pista cinque del bowling, palla massiccia in una mano e peso della delusione in tutto il corpo. Luca perché avrebbe voluto unirsi a loro, ma non è riuscito a lasciare solo l’amico. Mario perché avrebbe voluto unirsi, in altro modo, a Sonia, lasciando l’amico con il resto della compagnia.

Pertanto, ora che il discorso è ricominciato tra una rumorosa cannucciata e l’altra di imperialistico liquido americano, Mario è molto meno fermo sulle sue posizioni. Guarda Luca con i suoi occhi grandi neri e un po’ tristi e alza le spalle.

- Non mi piace scommettere – dice tanto per mostrare ancora un residuo di resistenza – E poi non ho tutti i tuoi soldi -

Luca si sporge verso l’amico con i suoi occhi blu firmati di strafottenza.

- Facciamo solo una puntata minima, valida per le prossime ventiquattro ore. Rende poco, ma è la più sicura, lo sai. E poi ci divertiamo, no?-

Mario aggrotta labbra e sopracciglia.

Luca gli batte una mano su una spalla e allarga le fessure degli occhi.

- Sooniaaa – cantilena all’amico, declamandone il punto debole.

Cinque minuti dopo Mario e Luca sfrecciano con i motorini verso la periferia est della città. Verso l’uomo immobile.

***

L’uomo aspetta. Immobile.

Si conosce il suo nome, la sua vita, si sa dove abita, o meglio, abitava, perché da tre mesi non torna più a casa.

Si sa anche che un anno prima, quando era come tutti, ha avuto un incidente stradale che gli ha lesionato le vertebre cervicali e lo ha spinto in un coma pietoso di settantatre giorni, sette ore e tre secondi in cui gli è stata risparmiata la notizia della morte della moglie e della figlia che viaggiavano con lui.

Tornato a casa, non aveva trovato nessuno, a parte gli assistenti sociali, con cui condividere i momenti delle giornate, le emozioni della solitudine su una sedia a rotelle; anche questo si sa, ma in versione ridotta, nel senso che si dice che non ha nessuno e basta.

Il resto non importa, perché questo uomo riveste ben altro interesse per le schiere di ragazzi e adulti che ogni giorno si accerchiano intorno a lui.

***

Ora ha una sola volontà, l’uomo che è diventato l’attrazione della città. Desidera piangere sulle tombe della moglie e della figlia, una volta almeno. Anche questo si sa, perché più volte lo ha spiegato alle assistenti sociali che gli dedicavano dieci minuti alla settimana per portargli scorte di cibo e di buone raccomandazioni. Ma loro, bisognava che lui capisse, sempre sotto organico, non avevano certo tempo e modo di accompagnarlo e lo salutavano sempre con un vago e un tantino imbarazzato “vedremo vedremo”, con aggiunta di un sorridente “stia tranquillo” con cui assopire le coscienze.

Allora, giunti i giorni di sole, l’uomo si era issato sulla sedia a rotelle e con la forza di chi ha un nobile obiettivo da perseguire, aveva vinto gli ostacoli del pianerottolo, le angustie di un ascensore a misura di longilinei verticali, le montagne dei tre scalini che separano la sua casa dal marciapiede e si era diretto verso la fermata dell’autobus, dietro l’angolo.

Solo che dietro l’angolo lo pensava prima, quando riusciva a muovere le gambe, non dal suo nuovo vivere costretto sulla carrozzina.

Le prime otto ore le aveva trascorse a dieci metri dalla sua casa, in attesa che le auto parcheggiate sul marciapiede fossero spostate dai proprietari usciti dal lavoro a passo spedito, occhi fissi sull’orologio e orecchio fuso con il cellulare.

Ma aveva aspettato, in silenzio, perché il desiderio di vedere la tomba della moglie e della figlia, almeno una volta, una sola volta, era più forte.

Quando infine aveva raggiunto la fermata dell’autobus e l’autobus era arrivato, aveva capito che non poteva più salire come aveva fatto ogni giorno per andare al lavoro. L’autobus si era fermato e aveva aperto le portiere per mostrargli l’ostacolo insormontabile dei suoi alti scalini. La gente all’interno lo aveva guardato con l’aria curiosa e distante di una visita guidata ai monumenti della città, fino a quando il mezzo non era ripartito, lasciandolo alla fermata. Solo.

L’uomo non si era mosso, perché –come si sarà capito- il desiderio di vedere la tomba della moglie e della figlia, almeno una volta, una sola volta, era più forte.

Aveva atteso ancora l’arrivo di un autobus costruito anche a misura di invalido. E solo al settimo autobus, mentre l’imbrunire sfumava i colori del mondo bipede, si era chiesto che senso ha lasciare sedili e spazi per “persone anziane invalide mutilati portatori di handicap”, come da apposito avviso ad uso della gentile utenza, se non si realizza prima un modo per farli salire e scendere.

Ma nemmeno questo pensiero lo aveva agitato, no, perché il desiderio di vedere la tomba della moglie e della figlia, almeno una volta, una sola volta, era più forte.

Dopo due giorni di vana attesa, fermo sulla carrozzina alla fermata dell’autobus, era diventa dapprima il passa parola preferito della strada, poi del quartiere, infine della città e dintorni. Tutti venivano a vederlo, incuriositi, anche da fuori, anche solo per pochi minuti.

Poi, finalmente, qualcuno aveva ideato un interessante sistema di scommesse, perché il nostro alla fine è un Paese di inventori, di soldi e di show e non poteva mancare l’idea geniale.

***

Da allora, la gente si raduna quotidianamente intorno a lui e punta sulle sue capacità di resistenza, mentre autobus sempre uguali gli sfilano davanti. I soldi girano su quanto riuscirà a rimanere ancora vivo all’aperto, paralizzato, in attesa.

L’uomo immobile è diventato attrattiva e business.

***

Le sei.

Mario lascia che la forza di gravità abbia la meglio e affonda la testa nel cuscino, con un’imprecazione da nota di biasimo sul registro dell’insegnante di religione.

Sperava fosse più tardi, decisamente più tardi, ma ora sa che non può più ignorare il senso di angoscia che avverte dalla sera prima. Si alza in piedi, con fatica, gli occhi socchiusi e appiccicati che reclamo la notte di riposo persa e, tagliato dalle tenui luci dell’alba che filtrano dalle tapparelle, ciabatta verso la cucina.

Non ha dormito questa notte, proprio no. Sonia non lo ha considerato per nulla, anzi, il suo sguardo e le sue tette sono stati puntati tutto il pomeriggio verso Antonio, un bullo brufoloso con tanti soldi di papà e mamma, puntualmente investiti nelle scommesse dell’uomo immobile.

Ma non è per quello che si è agitato nel letto senza trovare sollievo. E nemmeno perché ha speso venti euro nella scommessa che l’uomo immobile sopravvivrà almeno ancora ventiquattro ore alla fermata dell’autobus; tutto sommato si è trattato di una puntata modesta, abbastanza sicura, che dovrebbe fruttargli dieci euro in più una volta trascorse le ore.

- Ciao – bisbiglia a testa bassa quando vede il padre seduto in cucina tra il giornale e la zuppa di biscotti, già in tuta da lavoro.

L’uomo lo guarda perplesso.

- Stai male, figliolo? -

- No, no – mente Marco sedendosi di fronte a lui – sono già sveglio perché tra poco vado con Luca a fare un giro al mercatino –

- Uh… - approva il padre con la testa già immersa nella pagina sportiva.

- Non ho dormito bene –

- Uh … -

Marco scrolla le spalle e afferra un biscotto al burro, poi, tenendolo ben saldo tra i denti, si alza e va al frigo per prendere il latte. La voce del padre lo raggiunge alle spalle.

- Ieri sera hai visto la prima puntata di “Matrimoni e divorzi show”? -

- No – risponde Mario con un soffio di esitazione mentre il latte gorgoglia nella tazza. Sente il rumore della sedia che si sposta sul pavimento, i passi pesanti degli scarponi anti-infortunio e dopo tre secondi tre il padre è al suo fianco. Mario alza lo sguardo sul suo e gli offre un accenno di sorriso.

- Stai bene figliolo? – chiede il padre, ora con tono visibilmente preoccupato.

Mario annuisce due volte, veloce. Il padre lo scruta negli occhi, come se cercasse qualcosa dentro, poi con una manona circonda delicato il suo viso.

- Strano perdersi la prima puntata del nuovo spettacolo alla televisione -

- Ero stanco, papà. Lo vedrò la prossima settimana –

Il padre sembra soddisfatto dalla promessa, perché lascia la presa e i suoi occhi si illuminano.

- Bene, figliolo, perché, sai, è educativo. Mostra matrimoni e divorzi in diretta, con tanto di interviste alle coppie e ai loro parenti e amici. Così ti rendi conto di come va il mondo, no? -

Mario ritiene maturo esibirsi in un nuovo annuire veloce veloce, evidentemente apprezzato, perché il padre annuisce a sua volta e si allontana.

- Ci vediamo stasera, figliolo -

- Ciao papà –

Blam!, saluta a sua volta la porta della cucina.

Mario rimane solo, nella penombra della casa e dei suoi pensieri. Anche il latte ha smesso di gorgogliare ed ora aspetta placido e freddo nella tazza, simile ad un enorme occhio bianco che lo fissa, immobile.

Come l’uomo immobile.

Mario si sottrae alla sua vista e con passi decisamente più decisi raggiunge il bagno per prepararsi ad uscire.

L’uomo immobile. Per lui non ha dormito, solo per lui.

Vederlo così, senza aiuto, chino sulla carrozzina in attesa di una speranza su cui si sono costruite curiosità e scommesse, lo ha sempre scosso. Ogni volta che guardava il suo amico Luca, Sonia e tutti gli altri, curiosi ed eccitati dalle scommesse, si è sentito fuori posto, uno straniero nella sua terra, o un alieno, l’unico, insomma, a chiedersi il perché di tanta solitudine.

Ma oggi ha deciso che è ora di riprendersi la sua terra, ha stabilito che se in lui c’è un pensiero diverso dalla massa, un tormento tale da non farlo dormire, allora vuol dire che deve smettere di chiedersi perché e agire.

Mentre innaffia il viso con acqua fresca di rubinetto, il suo cuore batte a mille, ma si sente già un po’ meglio.

***

Ha parcheggiato poco distante, perché non vuole che tutto sia troppo scontato.

L’uomo potrebbe rifiutare per orgoglio e lui non può permettere che questo accada, non dopo che ha camminato in punta di piedi nella stanza coperta dal russare della madre, ha preso le chiavi dell’auto del padre e ha guidato fino a qui senza permesso. E senza patente.

Si guarda intorno. Nessuno.

Il viale ha i colori arruffati dell’alba che sbiadisce, ogni tanto brevi gruppi di auto sfilano indifferenti verso il lavoro, con un brontolio prolungato di motori, e svaniscono subito, lasciando spazio ad un silenzio sconosciuto.

Mario non ha mai visto la città a quest’ora e si sente come in un dipinto surreale con una pensilina rossa all’orizzonte che diventa sempre più nitida e reale mentre si avvicina. La raggiunge proprio mentre un autobus rallenta, apre le portiere a mostrare i suo scalini simili a denti di acciaio, quindi richiude le fauci e riparte portando il carico di uomini verso la frenetica produttività sociale e personale della giornata.

Mario si ferma.

L’uomo immobile è a pochi passi da lui, la testa reclinata sul petto, la carrozzina che sporge a metà dal fragile riparo offerto dalla pensilina.

Ora viene la parte più difficile, pensa, convincerlo a seguirmi e a salire in macchina, fino al cimitero, dalla moglie, dalla figlia.

Si guarda ancora intorno,nervoso. Nessuno. Nemmeno un suono.

Allora si decide, in fondo è per fare questo che ha sconfitto il senso di angoscia e la prospettiva di un’altra notte insonne proprio non gli va giù. Quindi, senza darsi tempo di riflettere ancora, con un balzo è davanti all’uomo.

Lo guarda.

E lo vede davvero.

E non sa più cosa dire.

Si china su di lui e gli accarezza il viso coperto da una lunga barba grigia.

È freddo. Più freddo della mattina.

Mario ritrae la mano, lentamente, in un gesto che sembra non avere fine.

L’uomo immobile ora è davvero immobile. Morto.

- Scusa – bisbiglia Mario, mentre un’ondata di sofferenza cresce nel suo petto – Scusa – ripete – Scusa -.

E finalmente piange.

***

La scena che si presenta ai primi scommettitori della giornata è decisamente diversa da quella a cui sono abituati. L’uomo seduto sulla carrozzina blu, che con occhi persi e silenziosi fissa un punto distante del viale, l’uomo immobile, dallo sguardo sulla curva da cui sbucano gli autobus comunali al servizio del cittadino, non è più solo.

Ora sulla sedia a rotelle c’è anche un’altra persona, un ragazzo, che muove il busto con un ritmo lento, ripetuto, un dondolio quasi paterno. L’uomo immobile è in braccio a lui, ed è sempre immobile, il corpo che segue passivamente il dondolio di chi lo sorregge.

Mario li vede con occhi velati da lacrime e si ferma.

- Tranquilli – dice, il tono distante – non avete perso i vostri soldi -

Quindi stringe ancora di più a sé il corpo freddo dell’uomo e inizia ad attendere l’autobus.
Immobile.







racconto presente nella raccolta “maschere”, di homo interrogans (Giovanni Sicuranza); Giraldi Editore; prefazioni di Eraldo Baldini e Valerio Evangelisti.



 


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